Replying to Marche ... Parte 2^

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  1. Posted 10/7/2014, 16:11

    camerano


    Camerano

    Camerano (Camburan, in dialetto gallo-marchigiano) è un comune italiano di 7.295 abitanti della provincia di Ancona nelle Marche.

    Il comune ha un'area di 19.81 km² e contiene le frazioni Aspio Terme, Colle Lauro e San Germano. Nel 2010 la vecchia stazione ferroviaria di Aspio Terme sulla linea Ancona - Pescara, dismessa molti anni fa, è stata ristrutturata per la riapertura, grazie anche ad alcuni investimenti privati.

    L'area del sottosuolo di Camerano è interessata da una fitta serie di gallerie, cave e cunicoli scavati nell'arenaria e spesso con pareti e soffitti decorati con fregi e simboli religiosi. Gli studiosi ne ipotizzano un uso antico abitativo o rituale. Quest'area ipogea è stata utilizzata durante la seconda guerra mondiale come rifugio antiaereo dalla popolazione locale.

    Storia

    I reperti archeologici hanno riportato notizie di un primo insediamento umano sul colle sin dall’epoca neolitica (III millennio a. C.). In contrada Fontevecchia, alla periferia nord-ovest dell’abitato del paese, gli scavi della Soprintendenza Archeologica di Ancona hanno riportato in luce nel 1968 uno stanziamento con materiali di tipo subappenninico, mentre in contrada S.Giovanni sono stati rinvenuti successivamente resti di insediamenti del neolitico e dell’età del bronzo.

    Nonostante questo si potrebbe dire che Camerano nacque come villaggio di capanne sulla sommità di una "gradina" nel periodo Piceno. A testimonianza di questo una necropoli portata alla luce dagli scavi compiuti nei secoli successivi, che hanno restituito più di cento tombe Picene databili dall’XI al III sec. a.C., nella forma tipica della sepoltura ad inumazione distesa. Il materiale rinvenuto è conservato nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona; alcuni reperti di origine celtica, greca e picena, invece, sono custoditi in loco presso l’Antiquarium Comunale.

    Durante il periodo romano il centro abitato diminuì la sua importanza e la gente si disperse nelle campagne, mentre, in epoca medioevale, si manifestò una rinascita dello stesso, che portò all’attuale configurazione del centro storico.

    La più antica fonte documentaria medievale che sembra riguardare Camerano è quella del "Codice Bavaro" (Liber Traditionum Ecclesiae Ravennatis), della seconda metà del X secolo, dove si fa riferimento al monastero femminile di Santa Maria e Sant’Agata, all’interno della diocesi di Numana e che sembrava essere situato a Camerano nella zona circostante all’attuale chiesa di S. Francesco. Altre fonti documentarie importanti sono due privilegi pontifici del 1177 e del 1183 dove viene nominato il paese come «Castro Camurani» , da riconoscere quindi come un vero e proprio castrum medievale. Nel 1198 Camerano figurava, per la prima volta, come comune indipendente e appartenente alla lega di comuni creata per contrastare Marcovaldo inviato da Enrico VI. Nel 1212 a Camerano figuravano anche due consoli: Bernardo Ionathe e Stefano Marchi, chiari segnali di un breve periodo in cui il paese fu libero comune, prima di finire nel periodo successivo sotto il controllo della più grande Città di Ancona, diventando uno dei circa venti castelli di Ancona, ed aveva il compito di difendere l'area del Conero, insieme ai castelli di Varano, Poggio, Massignano, Sirolo. Sulla rupe del "Sassone" sorse probabilmente quello che fu il primo castello o borgo fortificato.

    Dal 1797 al 1798 subì l'occupazione dei napoleonici e, in seguito, tra il 1815 e il 1819, il comune affrontò un periodo di grave carestia.

    Camerano venne annesso al Regno d'Italia nel 1860 dopo la battaglia di Castelfidardo. Dopo la seconda guerra mondiale e l'occupazione tedesca del 1943, il comune fu liberato dagli alleati nel 1944; è durante questo periodo che le labirintiche grotte furono adibite a rifugio per la popolazione contro i bombardamenti.

    L'organizzazione urbanistica rimase pressoché invariata fino agli inizi del secolo XIX il paese quando cominciarono ad espandersi nuove zone abitative come la "Piana" (via Garibaldi) e la "Speranza" (via Loretana), oltre al nucleo storico rappresentato dal "Borgo" (via G. Leopardi e via Cavallotti).

    Agli inizi del Novecento incominciò a svilupparsi l'artigianato che caratterizza tutt'ora la vita economica del paese; intorno al 1940 in seguito anche all'incremento demografico l’area urbana si estese lungo via Loretana e nella contrada San Giovanni. Negli anni ‘60, Camerano conobbe un vero e proprio boom economico e si trasformò in centro industriale, con la costituzione di numerose imprese artigiane e industriali soprattutto nel settore degli strumenti musicali e, più tardi, della lavorazione del legno, dei metalli, della plastica, dell'abbigliamento e della produzione di vino, il Rosso Conero, che rendono ancora oggi famoso ovunque il nome di Camerano.

    Curiosità


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    foto:.lifemarche.net

    Nel 2012 la trasmissione televisiva Mistero in onda su Italia 1 si è recata a Camerano per mostrare la cripta murata sotto l'altare della chiesa di San Francesco, nonché il noto "buco del diavolo", un lungo cunicolo con volta a botte percorribile per circa 200 metri, probabilmente utilizzato come acquedotto.


    fonte:wikipedia.org




    camerano
    foto: marchecitta.it



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    foto;.panoramio.com



    Palazzo Comunale di Camerano


    L’attuale Palazzo Comunale, oggi sede del Comune di Camerano, fu ex Convento dei Padri Minori Conventuali. Venne costruito nel 1788, su progetto di fra Domenico Frezzini, in seguito all’ampliamento del preesistente convento annesso alla trecentesca chiesa di S. Francesco dopo il rifacimento della stessa nel 1759.
    Con l’avvento della Rivoluzione Francese, l’edificio fu requisito e divenne proprietà dell’Appannaggio del principe di Beauharnais: quindi, dopo il 1815, fu acquistato dal Comune di Camerano.
    Gravemente danneggiato dal sisma del 1972, l’edificio fu interamente restaurato e dal 1997 il Comune vi riportò la propria sede. Oggi, il Palazzo, visitabile al pubblico, ospita delle piccole raccolte museali di fisarmoniche d’epoca e di reperti archeologici soprattutto della civiltà picena, un consistente materiale formato da riproduzioni fotografiche del pittore Carlo Maratti, nonché alcuni interessanti dipinti sui santi protettori del paese.
    Dalle ampie e luminose vetrate dell’edificio è possibile ammirare un suggestivo panorama che si estende dal Monte Conero fino ai Monti Sibillini.

    Civica raccolta museale

    All’interno del Palazzo Comunale, è costituita la civica raccolta denominata “Maratti”, che riunisce il materiale esistente, di proprietà comunale, riguardante il suo illustre concittadino: il pittore Carlo Maratti (1625-1713). La raccolta comprende: il ritratto dell’artista, di autore ignoto; alcune incisioni originali del Maratti, parte delle quali reperite sul mercato antiquario newyorkese dalla signora Rinaldina Russell Gaudioso e da questa donate al Comune; riproduzioni fotografiche in bianco e nero di opere dell’artista; lo stemma acquerellato del Cav. Maratti; alcune riproduzioni fotografiche a colori in formato naturale delle tele firmate dal maestro e quelle della sua scuola esistenti nelle Marche; un busto in gesso raffigurante l’artista; il bozzetto in gesso del monumento dedicato al Maratti e poi realizzato nel 1913 a Piazza Roma dall’artista Vittorio Morelli; il sipario del teatro Maratti e il suo bozzetto, ad opera di Ettore Ballarini che li realizzò sempre nel 1913.

    Sipario del Teatro Maratti

    Camerano_teatro-600x392
    foto:cronacheanconetane.it/

    Il Sipario del teatro “Maratti” è stato realizzato su bozzetto firmato dal pittore Ettore Ballarini (Camerano, 1868 – Roma, 1942) nel 1913 in occasione delle celebrazioni per il bicentenario della morte di Carlo Maratti. Rappresenta l’allegoria dell’Agricoltura e della Pittura. L’Agricoltura, figura femminile ritratta a sinistra, presenta il giovane Maratti alla Pittura, la figura a destra classicamente panneggiata, che gli fa dono di una tavolozza con i colori e di un pennello; strumenti indispensabili allo svolgimento della incipiente attività artistica. Sullo sfondo, visto dalla campagna di San Germano, alto sul colle, è riconoscibile il paese di Camerano, città natale di Maratti.
    Raccolta Fisarmoniche d'epoca
    All’interno del Palazzo Comunale è costituita, altresì, una piccola raccolta di 14 fisarmoniche d’epoca, databili tra il 1850 e il 1934, realizzate da ditte locali. La pregiata fattura e la raffinatezza degli elementi decorativi in celluloide e madreperla denotano l’elevata qualità realizzativa in modo particolare degli strumenti realizzati dalla Ditta “Scandalli” che, durante gli anni ‘50 e ‘60, portarono il nome di Camerano a primeggiare nel mondo, grazie alle felici intuizioni del suo fondatore Silvio Scandalli, come quella del famoso modello Super VI, a tutt’oggi insuperato per livelli tecnici e fonici.

    informazioni tratte da: www.turismocamerano.it/index.php?lingua=it
    Foto di Enrico Matteucci




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    Giardino MANCINFORTE

    L’origine dello spazio sembra assai antica (secolo IX) poiché una loggia inserita fra le strutture perimetrali sembra aver fatto parte di un convento dedicato alle Sante Maria e Agata; si può forse supporre che l´origine dello spazio verde sia nell´orto conventuale che doveva sorgere nel complesso.
    Nel secolo XIX La famiglia Mancinforte Sperelli è venuta in possesso del complesso in seguito alle nozze di Giulio Mancinforte con Teresa Galvani Serafini ultima erede del patrimonio Serafini (famiglia presente nel territorio di Camerano già nel XVI secolo).
    Nel 1884 si ha un restauro del palazzo e del giardino, ad opera dell´ing. Sandro De Bosis, con creazione di un romantico complesso di aiuole dalle forme rotondeggianti e sinuose che si dispiegavano sull´intera superficie.
    L´aspetto attuale del giardino (di proprietà privata e non visitabile nei percorsi turistici), in pieno stile all´italiana, si deve alla marchesa Gabriella Mancinforte Milesi che nel 1935 diede vita alla composizione secondo forme neostoriche: statue neo-classiche in terracotta a rappresentazione delle stagioni, sono situate in una geometria di aiuole, il tutto circondato da logge e portici coperti da edere e rampicanti fioriti. Il giardino era direttamente collegato con il bosco, un tempo proprietà della famiglia Mancinforte.



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    Chiesa
    DELLA MADONNA DELLA SPERANZA



    Secondo le più antiche ed attendibili notizie storiche la chiesetta sarebbe stata costruita dalla Comunità di Camerano in un rendimento di grazie alla Beatissima Vergine Maria per aver liberato il Paese dalla peste nell´anno 1424. Inoltre nella chiesetta sarebbe esistita una campana, oggi scomparsa, con la seguente scritta: «MENTEM SANCTAM. SPONTANEUM HONOREM DEO. 1424. PATRIAE LlBERATIONEM» . Un manoscritto, ora perduto ed un tempo conservato nella Biblioteca dei Padri Conventuali presso la Chiesa di S. Francesco, tra le altre memorie, avrebbe fatto menzione della costruzione di questa chiesa e della peste cessata in Camerano il 2 luglio 1424, dopo alcuni mesi di morbo. A questo evento era collegata la annuale processione che, per pubblico voto, si faceva appunto in quel giorno sino alla chiesa in argomento, ove si cantava un solenne "Te Deum" ed il Comune offriva più libbre di cera. Questa solennità annuale era detta volgarmente "della Visitazione". Da notizie attinte da documenti presso il locale archivio parrocchiale, l’attuale chiesa sarebbe stata ricostruita nel 1872 a destra della strada sulla quale sorgeva, essendo la primitiva molto deteriorata e rimasta sotto il livello della nuova via. La strada, era quella che conduceva da Camerano a Loreto e si chiamava allora via Flaminia. Si tratta di una costruzione ottocentesca in blocchi di arenaria alternati a file di mattoni. La facciata, in mattoni, presenta un portale ed una finestra ottagonale, entrambi in pietra, di fattura più antica ed in stile rinascimentale presumibilmente provenienti dalla primitiva chiesetta del 1424, demolita e ricostruita sul Iato opposto della strada. Sul tetto, spiovente a "capanna" con copertura a coppi, si erge un campanile a vela con una piccola campana. Il locale della sagrestia, ricavato posteriormente all´abside, ha il tetto più basso rispetto a quello della chiesa. L´interno è intonacato a calce ed il soffitto è a botte. Il pavimento è in cotto d´epoca e presenta al centro un ornamento in marmo policromo di forma stella re, contenuto in una figura poligonale. A destra, entrando, è collocata un´acquasantiera in pietra a forma di conchiglia; sulla parete destra una porta cieca dello stesso tipo di quella d´ingresso. L´altare, ottocentesco, è di tipo tradizionale con piedistalli in cotto d´epoca. Sopra l´altare, e addossata al culmine dell´abside semicircolare, sta una riproduzione dell´antico quadro della Madonna della Speranza, ora custodito nella chiesa parrocchiale. E´ racchiuso in una cornice barocca in finto marmo e legno con colonne e capitelli corinzi. Ai lati dell´altare due porticine, chiuse da tende di panno rosso, immettono nel piccolo locale adibito a sagrestia, illuminato da due finestre a forma di mezzaluna. Sulla parete sinistra si apre una porta simmetrica a quella cieca e nello stesso stile. Alle pareti, sopra le tre porte, vi sono altrettanti quadri a stampa, rappresentanti la Madonna del Carmelo con Santi, d´epoca, e una Santa Rita e una Santa Teresa del Bambin Gesù più recenti.




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    Chiesa DI SAN APOLLINARE

    Quest’antichissima chiesa, sorta entro il perimetro del castello originario, esistette intorno al Mille tra i beni della Chiesa ravennate del cosiddetto «fundo Larciniano» , come si evince dai contratti enfiteutici riportati nel Codice Bavaro. Eretta da paolo V ad abbazia laicale agli inizi del XVII secolo, la chiesa, pur rimanendo sotto la giurisdizione del vescovo di Ravenna, fu concessa alla nobile famiglia romana dei principi Borghesi, dai quali passò poi in proprietà dei Marchesi Bruti di Ripatransone. Questi vi tennero per un certo tempo un cappellano di loro nomina e vi fecero celebrare periodicamente delle messe, ma poi l’edificio cominciò a cadere in abbandono.
    Divenuta col tempo cadente e minacciando rovina furono, a cura dell’Arciprete Donzelli, ritirati gli oggetti sacri: pietra sacra, alcuni vecchi reliquari, arredi sacri e campana. Di quest’ultima si sa che è finita a varano mentre degli altri arredi, compresa una lapide, non si è trovata più traccia.
    Passato in proprietà al Comune e divenuto pericolante, l’edificio fu abbattuto e inopportunamente trasformato in mercato pubblico a metà degli anni ’50 del secolo XX. Dell’antica chiesa oggi non restano visibili che alcune tracce del campanile sulla fiancata dell’attuale sede del mercato comunale.
    Secondo una diffusa tradizione orale, S. Apollinare è considerata la chiesa più antica di Camerano. Testimonianze verbali, risalenti all’inizio del secolo scorso, descrivono l’interno di essa decorato da affreschi e con il residuo di antichi abbellimenti di tipo barocco. Molte persone ricordano l’esistenza di una lapide contenente un’epigrafe»



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    foto:comune.camerano.an.it

    Chiesa DI SAN FRANCESCO

    Una antica tradizione vuole che sia stata fondata con l´attiguo convento dei Minori dallo stesso San Francesco presente nel 1215 ad Ancona e Sirolo in occasione del suo viaggio in Oriente. Il Bollario Francescano ed altre fonti storiche indicano esistente questa chiesa nel 1292 e menzionano una lapide, ora irreperibile, un tempo visibile sul muro interno dell´edificio «a cornu epistolae» (cioè a destra) con questa epigrafe: + MCCXXX IIII ID VIII. Probabilmente la data del 1230 si riferisce all´anno in cui furono completati i lavori della chiesa originaria. le fonti storiche affermano che la chiesa ed il convento di San Francesco di Camerano sono sorti sull´area già occupata da un più antico monastero di monache presumibilmente lo stesso che, sotto il titolo di Santa Maria e Sant´Agata Martire, è menzionato dal Codice Bavaro relativo alle concessioni enfiteutiche nella zona tra i secoli VII e X. Attualmente all´interno della chiesa è conservata una lapide gotica con la seguente epigrafe: «In nomine domini amen anno domini MCCCXXXI tempore domini Ioannis Papae XXII» . Originariamente collocata sopra la porta dell´ex convento, questa iscrizione si riferisce molto probabilmente alla riedificazione del convento stesso sui resti del precedente monastero di Santa Agata. Da un’antica pergamena rinvenuta sotto l´altare maggiore si conosce che il 14 luglio 1437 la chiesa fu consacrata dal Vescovo Pietro Giustiniani dell´Ordine dei Predicatori con il premesso di mons. Giovanni Caffarelli Vescovo di Ancona.
    Nel 1759 la chiesa fu completamente ristrutturata su disegno dell´architetto Francesco Ciaraffoni e dell´edificio originario non rimase che il portale in pietra. Tra il 1763 ed il 1769 fu ampliato il convento su disegno di fra Domenico Frezzini dei Minori di Ancona, assistito dai padri Francesco Marchetti e Andrea Ottaviani. Il nuovo convento ebbe breve vita: chiuso durante l´occupazione francese, i suoi beni passarono al cosiddetto Appannaggio del Vicerè d´Italia Eugenio di Beauharnais e poi al Comune che utilizzò l´edificio come sua sede a partire dalla metà del XIX secolo. Dopo la partenza dei frati Minori da Camerano, la chiesa di San Francesco continuò ad essere officiata, prima da due frati detti "Minimi" rimasti nel paese presso abitazioni private (padre Lucesole e padre Anzelotti) e poi dai sacerdoti della chiesa parrocchiale. Danneggiata dagli eventi bellici del 1944, la chiesa fu riaperta al culto, per interessamento dell´allora parroco Don Giulio Giacconi, il 29 agosto 1959. La cuspide che sovrasta il campanile fu aggiunta nel 1957 a cura del comm. Silvio Scandalli. Attualmente l´edificio, di proprietà del Comune, pur essendo saltuariamente officiato, è sede di periodiche manifestazioni culturali quali mostre e concerti.
    La chiesa è a pianta rettangolare con abside ellittica dietro l´altare maggiore, presenta quattro altari laterali, due su ciascuna navata. La volta è a botte e l´interno decorato con stucchi a scagliola, colonne sormontate da capitelli corinzi e motivi ornamentali tipici dello stile settecentesco.

    Quadri contenuti all´interno della Chiesa:
    Adorazione dei Pastori - E. Van Schayck, 1600.
    Sant´Antonio - della scuola del Pomarancio, 1628.
    San Francesco - Marco Vannetti, XVIII sec.
    Traslazione della S. Casa – Francesco Fasolilli, XVIII sec.
    Crocifissione – anonimo, scuola romana del XVIII sec.



    fonte:.turismocamerano.it

  2. Posted 9/7/2014, 14:13

    Osimo


    Osimo


    « [...] quei tramonti, quei culori
    del celo, de la tera fino a Ancona
    Che è un bucchè stracarico de fiori
    Quant'è i paesi che je fa curona.
    Quessa è l'Osimo nostra. E no' saremo
    Senza Testa, a sentì quelli de fora?
    Làsseli dì! Se qui ce rimanemo,
    È segno che ce l'émo più de lora! »

    (Monsignor Carlo Grillantini dal sonetto Osimo è bello...)


    Osimo è un comune italiano di 34.715 abitanti della provincia di Ancona nelle Marche.


    Comune di superficie medio-grande, Osimo si estende su un territorio collinare. Il suo centro storico sorge su due colline affiancate, la più alta delle quali, su cui sorge il Duomo della città, si chiama Gòmero. L'avvallamento fra le due colline, un tempo visibile nella linea del centro storico, è stato pareggiato sempre più ad ogni rifacimento del manto.

    Il terreno è abbastanza fertile e favorisce l'agricoltura. A circa 3 km scorre il fiume Musone. A poca distanza si trova anche la costa adriatica, con Portonovo ed i comuni di Sirolo e Numana. Le stazioni sciistiche più vicine si trovano a circa 100 km nel comune di Ussita.

    Appena fuori le mura del centro storico di Osimo sono riconoscibili due quartieri:

    Borgo San Giacomo, a nord-ovest di Osimo;
    Borgo Guarnieri (prima detto Filello): situato a sud del centro storico, appena fuori porta Musone. Il Borgo è costituito da una serie di casette un tempo tutte uguali, fatte costruire nel Cinquecento dalla nobile famiglia Guarnieri per le persone addette al suo servizio.



    Le origini del nome

    Attualmente esistono due ipotesi sull'origine del toponimo "Osimo". Alcuni storici, tra i quali il Grillantini, sostengono che il nome derivi dal termine greco "αὑξάνω", confermato poi dal latino "augeo" e poiché i due verbi hanno il signioficato di accrescere, gli studiosi ritengono che Osimo debba significare "accrescimento", intendendo così quel fenomeno per cui una località, grazie alla sua favorevole posizione geografica, subisce nel tempo uno sviluppo dal punto di vista urbanistico, economico, sociale e culturale.
    Secondo l'altra ipotesi, sostenuta da storici quali il tedesco Radke e Gino Vinicio Gentili[5], il toponimo avrebbe un'origine umbro-sabina (quindi legata alle genti picene), analoga al celtico "Uxama", che significa "alta", "elevata": il nome starebbe pertanto ad indicare la posizione geografica su cui sorge l'abitato, che un tempo si presentava molto più scoscesa e di difficile accesso rispetto ad oggi.
    Nel dialetto locale di campagna la città si chiama Òsemo (o Òsemu); oggi gli osimani e gli abitanti della zona la chiamano comunemente Òsimo.


    Le testimonianze archeologiche più antiche attestate nel territorio di Osimo provengono dalla bassa valle del fiume Musone e del suo affluente di destra Fiumicello: si tratta di numerosi oggetti di selce scheggiati, ritrovati unitamente con ossa di animali e corna di cervo, che si datano al Paleolitico superiore (40.000-12.000 anni fa). Nel IX secolo a.C. sul colle di Osimo e sull'altura di Monte S. Pietro si stanziarono i Piceni, che diedero vita a due insediamenti distinti con relative necropoli.

    Con la battaglia di Sentinum (odierna Sassoferrato) del 295 a.C., i Romani iniziarono la conquista del Piceno, coinvolgendo anche Osimo: nel 174 a.C. si ha testimonianza, attraverso un passo dello storico Livio, che i censori Q. Fulvius Flaccus e A. Postumius Albinus appaltarono le mura urbiche e decisero la costruzione di tabernae (botteghe) attorno al foro. Considerata l'inespugnabilità dell'abitato e la sua posizione centrale rispetto l'area picena, i Romani decisero inoltre, nel 157 a.C., di dedurvi una colonia, iscrivendone i cittadini nella tribù Velina.

    In età altomedievale, la città continuò a rivestire grande importanza all'interno del Piceno. il suo ruolo strategico è messo in evidenzia dal fatto che vi si svolsero alcuni momenti importanti della guerra detta "greco-gotica" (535-553), ovvero quella parte della complessa campagna militare attraverso cui l'imperatore romano d'Oriente Giustiniano volle riaffermare la presenza imperiale nel Mediterraneo occidentale. Nel 727-728 la città fu conquistata dai Longobardi guidati dal re Liutprando, che ne fece, insieme ad Ancona, due ducati direttamente alle sue dipendenze, e poli nevralgici per il controllo delle mire espansionistiche del Duca di Spoleto.


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    Sacrario dei partigiani (Cimitero maggiore)

    Nel 774 il re longobardo Desiderio minaccia papa Adriano I, che chiede aiuto al re dei Franchi Carlo Magno, il quale sconfigge il nemico ed annette i territori longobardi al regno franco: inoltre, tenendo fede alla promessa del padre Pipino, dona l'Esarcato e la Pentapoli (al cui interno rientra Osimo) al papa, territori che andranno poi a formare il nucleo del nascente Stato della Chiesa.

    Agli inizi del XII secolo la città fu una della prime a diventare libero comune, acquisendo grande importanza all'interno della Marca: durante il lungo periodo di lotta tra Guelfi e Ghibellini, Osimo si trovò spesso a parteggiare per i secondi, gesto che gli costò caro visto che perse la cattedra vescovile per ben due volte: la prima intorno alla metà del Duecento e la seconda nella prima metà del XIV secolo, a seguito della rivolta dei fratelli Lippaccio e Andrea Gozzolini, in occasione della quale fu anche privata del titolo di città. Questo indebolì molto Osimo, che andò incontro ad un lungo periodo di instabilità, durante il quale fu sottoposta al dominio di signorie straniere: i Malatesta di Rimini (1399-1430), inviati direttamente dal papa, e poi il condottiero Francesco Sforza (1433-1443), mandato da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, per indebolire il potere papale. Negli anni 1486 e 1487 la città fu presa dal capitano di ventura Boccolino di Guzzone, che la dovette poi cedere alle truppe alleate del papa.

    Dal 1500 circa, la città tornò definitivamente sotto lo Stato Pontificio, godendo di un lungo periodo di pace e prosperità che ha lasciato molte tracce, come i meravigliosi palazzi che abbelliscono il centro storico. Fu anche fervente centro culturale, grazie all'istituzione del Collegio Campana, che richiamò illustri insegnanti ed allievi, divenuti poi famosi, come i papi Leone XII e Pio VIII.

    Durante l'occupazione napoleonica, Osimo fu sottomessa dai francesi ed entrò a far parte del Dipartimento del Musone: venne poi restaurato il Governo Pontificio, che ebbe vita breve perché ben presto molti abitanti, guidati dal conte Francesco Fiorenzi, imbracciarono le armi e combatterono per l'indipendenza dell'Italia nella famosa battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860).

    Dopo i bombardamenti di Ancona dell'ottobre 1943, Osimo assunse il ruolo di capoluogo di regione in quanto tutti gli uffici statali vennero trasferiti in città fino alla sua capitolazione. Osimo venne liberata dai partigiani della V div. Garibaldi Marche il 6 luglio 1944 ma la dura Battaglia del Musone durò fino al 18 luglio successivo. Secondo il generale polacco Anders la battaglia che dipanò nelle campagne tra Osimo e Filottrano fu la più cruenta per l'esercito polacco dopo quella di Montecassino. L'abbattimento della Linea difensiva tedesca "Edith" lungo il fiume Musone permise l'occupazione del porto di Ancona, cosa questa che accelerò l'assalto alla Linea Gotica trovandola impreparata.

    Il 10 novembre 1975 vi fu firmato il cosiddetto Trattato di Osimo che sanciva la cessione della Zona B dell'ex Territorio libero di Trieste, ovvero dell'Istria nord-occidentale alla Jugoslavia; oggi in parte alla Slovenia e in parte alla Croazia.

    Il 16 settembre 2006 Osimo ed alcuni comuni limitrofi, in particolare le frazioni di Aspio ed Osimo Stazione sono stati colpiti da una alluvione che ha causato ingenti danni alle industrie del luogo.

    Nel 2014 Osimo è stato sede della mostra "Da Rubens a Maratta" a cura di Vittorio Sgarbi.



    Monumenti e luoghi d'interesse


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    Duomo di San Leopardo
    . Dalla piazza del Comune, salendo per la via dell'Antica Rocca (conosciuta ad Osimo come la Costa del Domo), si arriva sulla sommità del colle Gòmero, sul quale sorge la Cattedrale di San Leopardo (più semplicemente chiamata Duomo), uno degli esempi più belli di architettura romanico-gotica delle Marche.
    L'originaria struttura, edificata a cavallo tra XII e XIII secolo, subì varie modifiche nel corso del tempo, senza mai perdere l'antica austerità, che si riflette ancora oggi nell'esterno (arricchito dal grande rosone e dai pregevoli portali in pietra) e nel maestoso interno a tre navate. All'interno della cattedrale è visitabile anche la cripta, costruita nel 1191 da Mastro Filippo, in cui sono custoditi i sarcofagi con le reliquie dei primi martiri (Sisinnio, Fiorenzo e Diocleziano, lapidati l'11 maggio 304 d.C. sotto l'imperatore Diocleziano) e dei santi vescovi osimani. Sempre all'interno è conservato presso la seconda Cappella a sinistra, Il Cristo in Pietà del Guido Reni. Nella prima cappella a destra, realizzata dall'architetto Costantini (autore della chiesa neogotica di Campocavallo), vi è un grande crocifisso ligneo del XII secolo, probabilmente gnostico, con la singolare caratteristica del Cristo di apparire a seconda della luce in forma maschile (faretto diretto) o in quella femminile (senza faretto con il lucernario a mezzogiorno). Adiacente alla cattedrale si trova il Battistero: l'edificio, di origine quattrocentesca, venne sottoposto a restauri agli inizi del Seicento per volere del vescovo Galamini. Degni di nota il pregevole soffitto a cassettoni lignei, opera dell'artista Antonio Sarti di Jesi, e il fonte battesimale in bronzo creato dai fratelli Pier Paolo e Tarquinio Jacometti di Recanati nella prima metà del XVII secolo.

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    Basilica di San Giuseppe da Copertino.

    La basilica, situata dietro la principale piazza del centro, conserva al suo interno le spoglie di San Giuseppe da Copertino, patrono di Osimo e santo protettore degli studenti. La chiesa era inizialmente intitolata a San Francesco d'Assisi; venne costruita, infatti, poco dopo la visita del santo in città, avvenuta nel 1220. Solo nella seconda metà del XVIII secolo, in occasione della canonizzazione di frate Giuseppe, si è cambiata la titolazione della chiesa. L'interno della struttura è stato allora totalmente rinnovato, conservando solo all'esterno l'austera semplicità dell'originario stile romanico-gotico. All'interno della basilica è possibile visitare la cripta (dove è custodito il corpo del santo) e le stanze, oggi adibite a museo, dove San Giuseppe trascorse gli ultimi anni di vita.

    Inoltre, nel secondo altare di sinistra si conserva una mirabile Madonna col Bambino e Santi di Antonio Solario (1503).


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    foto:luoghimisteriosi.it

    Chiesa di San Marco, situata nei pressi della Porta Vaccaro (accesso orientale al centro storico), è l'unica testimonianza di un complesso conventuale edificato agli inizi del XIV secolo, poi modificato nel corso del XV secolo dai frati domenicani. Il fastoso interno barocco, a navata unica, custodisce una solenne pala d'altare raffigurante la Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina da Siena, opera del Guercino. Sul secondo altare della parete sinistra si conserva l'unico frammento della chiesa antica: uno stupendo affresco rappresentante la Madonna col Bambino tra San Domenico e San Pietro martire, realizzato negli anni venti del Quattrocento da Pietro di Domenico da Montepulciano.


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    Chiesa di San Filippo. Nei pressi dei giardini pubblici di Piazza Nuova si trova la piazza San Filippo, dove sorgono l'omonima chiesa in stile barocco ed il Palazzo della nobile famiglia Acqua.

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    foto:santuariocampocavallo.com

    Il Santuario della Vergine Addolorata di Campocavallo è situato a circa tre chilometri da Osimo in direzione sud, nella frazione omonima; la chiesa, in laterizio, di stile neo-rinascimentale lombardo, fu costruita nel 1893 per volere di Don Giovanni Sorbellini su progetto di Costantino Costantini e venne consacrata nel 1905. Venne dedicata alla Vergine Addolorata in seguito ad un prodigio avvenuto nel 1892.


    Architetture



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    Palazzo Comunale. Il complesso del palazzo comunale è costituito da tre corpi distinti, edificati in varie epoche. L'edificio principale, che si affaccia sulla Piazza del Comune, presenta una facciata in cotto rosso movimentata da tre piani di finestre incorniciate entro elementi in pietra (opera dell'architetto militare Pompeo Floriani di Macerata). I lavori per la costruzione durarono a lungo: una delibera dell'8 agosto 1457 evidenzia la volontà dell'amministrazione di voler realizzare una nuova sede, ma verrà completata solo nel 1678.

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    Torre Civica comunale

    Accanto al lato orientale del palazzo svetta la torre civica, di epoca duecentesca e acquistata dal Comune nel 1366: l'altezza attuale risale ad una modifica del 1538. Alla base, costituita da uno zoccolo in pietra che riutilizza materiale lapideo preso da precedenti costruzioni, si apre una porticina sopra la quale sono visibili le misure in ferro del braccio, del coppo e del mattone, affisse nel XVIII secolo. L'ultimo corpo ad essere realizzato è quello rivolto verso Piazza Boccolino: la struttura venne costruita in seguito alla demolizione del Palazzo del Governatore e della chiesa di Santa Maria della Piazza, detta della Morte perché vi aveva sede la confraternita omonima, che aveva il compito di accompagnare in chiesa le salme di coloro che morivano in città e di assistere i condannati a morte nelle ultime ore di vita. La parte più interessante del complesso comunale è senz'altro l'atrio, dove ha sede il Lapidarium: la raccolta comprende statue, epigrafi, bassorilievi di epoca romana ed elementi architettonici provenienti da edifici medievali e rinascimentali. Le sculture, che rappresentano personaggi romani in toga e in seminudità eroica, hanno tutte la particolarità di essere acefale: questa loro caratteristica ha dato luogo ad un nomignolo attribuito agli abitanti di Osimo, chiamati appunto "i Senza Testa". All'interno dell'atrio sono conservati anche pezzi d'artiglieria, tra cui una bombarda quattrocentesca, varie palle in pietra ed un carro militare della prima guerra mondiale: la bombarda, il cui originale è conservato oggi al Museo Storico Nazionale dell'Artiglieria di Torino, è chiamata "Misbaba", mentre in dialetto "Cannò de Figo".


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    Palazzo Campana

    Palazzo Campana. L'imponente edificio, un tempo di proprietà della nobile famiglia Campana (estintasi alla fine del XVII secolo), nel 1718 venne destinato a sede di Collegio e Seminario, comportando una serie di modifiche alla struttura originaria. La notevole fama raggiunta dall'Istituto (vi studiarono anche i futuri papi Leone XII e Pio VIII e il triumviro della Repubblica Romana Aurelio Saffi), costrinse la curia a prendere in esame progetti di ampliamento, che furono affidati ad Andrea Vici, allievo di Luigi Vanvitelli. Nel nuovo corpo di fabbrica, edificato sul lato occidentale dell'originario edificio, il Vici ideò ed eseguì su tre piani il teatrino, il refettorio e la cappella, seguendo un identico disegno di forma ellittica.
    Oggi il palazzo è sede dell'Istituto Campana per l'Istruzione Permanente; nell'ala ovest sono inoltre ospitati la Biblioteca Comunale "Francesco Cini" e l'Archivio Storico Comunale. Nell'ala orientale dell'edificio, in locali già adibiti a granaio e forno, è situato il Museo Civico (inaugurato nel 2000), ampliamento dell'originaria Civica Raccolta d'Arte del 1980. Nel 2002, all'interno di alcune sale attigue alla cappella ideata dal Vici, è stata inaugurata la Sezione Archeologica del Museo Civico.


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    Palazzo Gallo


    Palazzo Gallo. L'edificio, situato lungo il corso principale della città, venne fatto costruire come residenza privata da Antonio Maria Gallo, vescovo della diocesi di Osimo, nel primo ventennio del XVII secolo. La facciata si presenta a tre piani, contrassegnati ognuno da undici grandi finestre ornate da cornici in pietra d'Istria e alla cui base corre una fascia di pietra con funzione di marcapiano. Il piano nobile si compone di varie sale, tra le quali spicca il salone dei ricevimenti, il cui soffitto è stato affrescato da Cristoforo Roncalli (detto il Pomarancio) nel 1614. L'affresco, che copre l'intera superficie della volta, è suddiviso in riquadri incorniciati in stucco bianco e oro zecchino, ornati da candelabri con teste di putti a rilievo: nello spazio centrale è raffigurato il Giudizio di Salomone, compreso tra due grandi figure allegoriche (la Sapienza Umana e la Sapienza Divina). Oggi il palazzo è sede dell'Unicredit.
    Fonte Magna, il cui nome è attribuito al passaggio di Pompeo Magno ad Osimo durante la guerra civile contro Cesare, in realtà deve il suo appellativo al fatto di essere una delle più importanti fonti di approvvigionamento idrico della città. La fonte riveste grande importanza nel panorama archeologico marchigiano, in quanto è uno dei pochi monumenti citati da fonti storiche: Procopio di Cesarea nel suo De Bello Gothico[8] ne dà un'accurata descrizione, narrando come l'architettura fosse al centro della tattica utilizzata da Belisario (comandante dei Bizantini) che voleva espugnare la città allora in mano ai Goti.
    La struttura, come si presenta oggi, è composta da un tratto di muro in calcestruzzo, che presenta a varie altezze incavi probabilmente destinati all'alloggio della decorazione o del sistema portante della copertura; a fianco due vasche, una più alta ed una più bassa con la parte sommitale inclinata come lavatoio, probabilmente realizzate nel XIV secolo. A lato delle vasche sono collocati sei gradini, affiancati, in posizione più elevata, da una struttura interpretata come pozzo. Fonta Magna appartiene ad una delle tipologie più frequenti di fontane monumentali: quelle ad esedra semicircolare; con ogni probabilità aveva una copertura a volta e decorazioni architettoniche all'interno. Dallo studio del tipo di opera cementizia utilizzata nella realizzazione, la fonte si può datare tra I secolo a.C. e il I secolo d.C.


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    foto:comune.osimo.an.it/

    Il Teatro la nuova Fenice fu costruito tra il 1773 e il 1785 su progetto di Cosimo Morelli (1733-1812). Abbattuto nel 1885 per ragioni statiche, venne rifatto tra il 1887 e il 1892, su disegno di Gaetano Canedi (1836-1889). Sede di importanti stagioni liriche e di prosa, rappresentazioni di concerti, balletti, oggi il teatro splende come un tempo.
    Le Grotte. Il sottosuolo di Osimo è percorso da una fitta rete di gallerie, cunicoli ed ambienti sotterranei scavati a più livelli, spesso collegati tra loro verticalmente mediante pozzi o camini percorribili tramite tacche o pedarole. Scarse sono le fonti scritte e rari i documenti che contengono notizie di tali grotte che pure costituiscono una notevole realtà storica. Questo incomprensibile silenzio si deve probabilmente a ragioni di segretezza derivanti dalla necessità di salvaguardare nascondigli e vie di fuga indispensabili alla difesa e alla sopravvivenza di un'intera comunità in situazioni di pericolo e di emergenza.
    L'uso di queste cavità è comunque riconducibile a quattro principali tipologie individuate secondo le loro diverse caratteristiche: si riconoscono infatti grotte realizzate per scopi difensivi riconoscibili lungo tutta la rete ipogea, cunicoli idraulici a servizio di cisterne e fonti, ambienti particolari costituiti da sale circolari presumibilmente frequentate per scopi rituali o come luoghi di riunione, ed infine grotte che rivelano tracce di uso abitativo presenti soprattutto nel versante meridionale del colle nei pressi di Porta Musone. Molteplici e differenti sono le rappresentazioni che si ritrovano all'interno delle grotte: dai bassorilievi di carattere religioso custoditi all'interno delle Grotte del Cantinone, ai simboli legati alla presenza dei cavalieri Templari e del Sovrano Militare Ordine di Malta, come la "triplice cinta" e la croce a otto punte, visibili all'interno delle Grotte Simonetti. Un caso a sé costituiscono le grotte sottostanti Palazzo Campana: all'interno si trovano infatti due gallerie le cui pareti e volte sono piene di bassorilievi con allegorie di significato esoterico.

    Antica precettoria templare di SAN FILIPPO DE PLANO (fraz. Casenuove). Il sito è attualmente adibito ad agriturist. Nel Medioevo, l'Ordine Templare vi si stanziò nel 1167 e lo tenne fino al 1317, anno in cui passò in proprietà all'Ordine di Malta (cfr. "Cabreo dei beni della Commanderia di San Filippo e Giacomo di Osimo"). Fu il più importante stanziamento templare della Marca Anconitana (cfr. Gabriele Petromilli: "I Templari della Marca Centrale. Storia, Mito, Iniziazione". Edizioni Aratron, 1983)
    La Gironda è una scultura collocata al centro della rotatoria Mindolo; è alta più di 9 metri ed è lavorata in bronzo e ferro corten. Venne realizzata dallo scultore ed ex avvocato Franco Torcianti tra il 2006 e il 2007. Presenta alla sommità due figure femminili che sembrano aprire in volo un portale decorato con cuspidi e sbalzi.


    Architetture miliari

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    foto:http://members.xoom.virgilio.it/

    Porta San Giacomo era l'ingresso settentrionale alla città. La struttura, incorporata nella Rocca Pontelliana (fatta realizzare da papa Innocenzo VIII nel 1487), presenta sui conci dell'arco la scritta "Vetus Auximum".


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    Porta Musone

    Porta Musone. Situata lungo il tratto meridionale delle mura, in età medievale era denominata "Caldararia" per la presenza nella zona di alcune botteghe di calderai e stagnai. La struttura alla base presenta elementi romani (grandi blocchi di arenaria, con cui sono state realizzate anche le mura urbiche), su cui in epoca medievale è stato appoggiato un torrione di difesa. L'arco, anticamente, costituiva l'ingresso in città dalla diramazione della via Flaminia (la strada consolare che collegava Roma a Rimini attraverso Fano) che, staccandosi dal percorso principale all'altezza di Nuceria Camellaria (Nocera Umbra), conduceva fino ad Ancona passando proprio per Osimo.
    Porta Vaccaro si apre sul lato orientale della cinta muraria. Probabilmente il nome deriva dal fatto che, in un luogo poco distante, si svolgeva un tempo il mercato bovino. In origine la struttura era formata da un solo fornice, poi nel 1937 venne ampliata con l'aggiunta ai lati di due passaggi pedonali: per questo motivo oggi la porta è comunemente detta "Tre archi".

    Ville d'epoca

    Il territorio osimano è incredibilmente ricco di ville patrizie, casini di caccia e residenze estive nobiliari. Fra queste le principali sono villa Briganti-Bellini, villa Bigatti (già Frampolli), villa Blasi, villa Borromei, villa Leopardi-Dittaiuti (a Monte Santo Pietro), villa Egidi, villa Fiorenzi (a Monte Cerno), villa Frampolli, villa Gallo, villa Honorati, villa Montegallo, villa Nappi, villa Orsi Fagioli (Cont'Orsi), villa Santa Paolina, villa Simonetti, villa Sinibaldi e villa ex Zoppi.



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    foto:comune.osimo.an.it

    LA VILLA DI MONTEGALLO


    Un altro nucleo importante della frazione San Biagio attorno al quale si sono svolti alcuni dei momenti più significativi della vita sociale e religiosa della comunità è stato quello della Villa di Montegallo, da cui prende il nome una buona parte del territorio della frazione.
    La Villa, di grande valore architettonico, situata lungo la strada che porta ad Offagna, è sicuramente una delle più rinomate del territorio provinciale di Ancona.
    Da circa trent'anni è proprietà del Conti Bonaccorsi di Macerata, dopo essere appartenuta ai Conti Soderini e ancor prima ai Carafa D'Adria.
    Fin dall'inizio del XIII secolo sul luogo della Villa sorgeva una casa, appartenuta anche al bellicoso Capitano di ventura Boccollno di Guzzone, che partecipò alla famosa "Battaglia del porco."
    Attraverso varie vicende, l'edificio passò poi in proprietà agli Armellini di Perugia, ai Bentivoglio di Gubbio e ai Franciolini di Jesi, finchè nel 1592 fu venduta al Cardinale Antonio Maria Gallo, che diede il nome alla Villa, elevata poi a Contea nel 1759 da Papa Clemente XIII.

    I discendenti del Cardinale, già a partire dal 1750, diedero, inizio ad ampi lavori di restauro e abbellimento che si intensificarono tra il 1784 e il 1789.
    Tali trasformazioni, consistenti nell'aggiunta di quattro ali avanzate a forma leggermente concava e perfettamente uguali, permisero, sul fronte della dimora, lo snodarsi di una ricca scalinata, prospiciente una graziosa aiuola circolare, mentre sul retro, la costruzione di una ampia terrazza con loggiato sottostante, che si affaccia su un giardino all'italiana.
    A ricordo del completamento del detti lavori, venne posta sul frontone della Villa una lapide con questa scritta: "Comes Bernardinus Gallus A.D. MDCCXCII" cioè: "il conte Bernardino Gallo nell'anno del Signore 1792."
    Lo stile architettonico è di gusto barocco e qualcuno ha avanzato l'ipotesi che si tratti di una prova effettuata da allievi del celebre Vanvitelli.
    Nell'ambito della Villa c'è una chiesetta di stile settecentesco, attorno alla quale per tanti anni si è svolta la vita religiosa del contadini abitanti la zona.
    In detta cappella, vennero, con grande partecipazione di popolo, ripetute tutte le feste più significative già celebrate nella chiesa parrocchiale di San Biagio, inoltre vi fu celebrata tutte le domeniche la Santa Messa.
    La piccola chiesa, dedicata al monaco benedettino San Gallo Abate, (morto a San Gallo, in Svizzera, città fondata dal suddetto il 16 ottobre 646) è di forma circolare, con un unico altare e venne costruita a spese del conte Gallo, verso la fine del secolo XVIII, su disegno di Andrea Vici (1744 - 1815).

    La scelta del Santo abate come titolare di questa chiesetta non si deve alla devozione dei fedeli, poichè in quelle parti San Gallo è sconosciuto, ma ad una combinazione di parole. Cosi abbiamo: Gallo il monte, Gallo il proprietario della villa e chiesa, Gallo il Santo titolare del piccolo tempio.

    fonte: comune.osimo.an.it

    VILLA SINIBALDI

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    - L'impianto dell'edificio risale al Settecento
    - Nei primi anni del Novecento Giuseppe Sinibaldi in occasione delle suo nozze fa delle modifiche al corpo centrali e fa costruire due nuove ali laterali adibite rispettivamente a limonaia e scuderia insieme alle due torrette.
    - Nel 1819 Gaetano Sinibaldi acquista per 11.000 scudi dal Conte Nappi Manuele la casa utilizzata come casino di caccia e circa cinquanta ettari di terreno.

    fonte: beniculturali.marche.it


    Villa Fiorenzi

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    L'edificio sorge ove in origine vi era il Castello di Castelbaldo, distrutto nel 1203. Nel maggio 1571 mons. Teodosio Fiorenzi provvide ad ampliare la residenza pastorale eseguendo notevoli lavori che lo videro per questo premiato da papa Pio V, di cui era segretario, con il titolo di conte di Montecerno ed abate di San Ubado, con diritto esclusivo di proprietà della zona.; intero bene - costruzione - secolo XVI - XVI ; L'edificio viene ristrutturato ed ampliato nella parte a mezzogiorno attorno al 1780/85, tali lavori compresero anche le stalle e le dipendenze.; intero bene - ristrutturazione - secolo XVIII - XVIII ; L'edificio attorno al 1935 venne ristrutturato, venne realizzata la loggia posteriore collegata alla sala della biblioteca, anch'essa modificata. I lavori furono commissionati dal conte Dino Fiorenzi.; intero bene - ristrutturazione - secolo XX - XX

    fonte: http://sirpac.cultura.marche.it/



    Musei


    Museo diocesano


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    Il Museo diocesano, allestito all'interno degli antichi appartamenti episcopali, raccoglie una serie di testimonianze che ben illustrano la storia della comunità osimana dall'epoca romana fino ai giorni nostri. Sono esposte opere di vario genere: dai manufatti marmorei di epoca medievale (come la lastra tombale di San Vitaliano dell'VIII secolo e il meraviglioso schienale di cattedra episcopale del XIII secolo) a dipinti di varie epoche, tra cui il polittico del 1418 attribuito a Pietro di Domenico da Montepulciano e una Madonna con Bambino e Santi realizzata nel 1585 da Simone De Magistris. Una sezione a parte è dedicata al cosiddetto "tesoro" della cattedrale, che raccoglie paramenti liturgici e argenti appartenuti ai vari vescovi: una menzione particolare merita il Reliquiario della Santa Croce attribuito a Gian Lorenzo Bernini, che secondo la tradizione conterrebbe una scheggia della Croce del Signore.

    Museo civico

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    Nel 1980 venne inaugurata la Civica Raccolta d'Arte che, solo venti anni dopo, nel 2000, verrà implementata e collocata definitivamente nell'ex granaio di Palazzo Campana, andando a costituire l'attuale Museo Civico. Molte opere provengono dalla civica raccolta, altre sono state recuperate da chiese in cattivo stato di conservazione, altre ancora (per lo più appartenenti alla sezione moderna) sono state donate da privati: coprono un arco temporale molto vasto, che va dal XIII secolo (come la scultura della Madonna con Bambino ed Angeli) fino al XX secolo, con le tele degli osimani Giovan Battista Gallo ed Elmo Cappannari, i disegni di Luigi Bartolini e le incisioni di Bruno Marsili (detto "Bruno da Osimo"). Tra le opere più importanti ci sono: L'Incoronazione della Vergine e Santi, polittico di Antonio e Bartolomeo Vivarini (1464), gli affreschi del XIV secolo di Andrea di Deolao de' Bruni (detto Andrea da Bologna), i dipinti di Claudio Ridolfi e un S. Francesco d'Assisi attribuito da Vittorio Sgarbi al Guercino.



    Sezione Archeologica del Museo Civico

    La raccolta, allestita all'interno di alcune sale di Palazzo Campana, conserva diversi reperti fondamentali per far luce sulle tappe cronologiche che scandiscono la storia millenaria della città. Le testimonianze più antiche sono costituite da una serie di manufatti litici ascritti al Paleolitico superiore; al periodo piceno risalgono le fibule, l'interessante morso di cavallo in bronzo (VIII secolo a.C.) e vari materiali ceramici tra cui una coppa di provenienza attica a figure rosse del 460 a.C. La sezione più interessante riguarda l'età romana, durante la quale il centro visse un periodo di grande splendore: ne sono prova la testa di vecchio, esemplare di un realismo estremo, la stele funeraria con coppia maritale (primi decenni del I secolo d.C., e la gran quantità di reperti provenienti sia dalla colonia che dall'area archeologica di Monte Torto, come lucerne, monete e ceramiche da mensa.


    fonte ove non indicato : wikipedia.org



    (ivana)
  3. Posted 7/7/2014, 16:53

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    Terme di Sarnano


    Sarnano è un Comune della Provincia di Macerata da cui dista 38 Km, è riconosciuta stazione climatica, di cura e di soggiorno nonché centro di sports invernali con tante peculiarità dal punto di vista storico, artistico e soprattutto ambientale.

    Il centro abitato è diviso con evidenza tra l’antico borgo medievale ottimamente restaurato e ben conservato, posto su una collina e la nuova cittadina, in espansione sulla collina opposta.
    L’altezza sul livello del mare è di 539 metri, ed il territorio comunale esteso per ben 64 kmq vanta altitudine diversa dai 400 metri della frazione Schito fino ai quasi 2000 di Castel Manardo.
    Il numero degli abitanti è di 3400 circa, con incrementi evidentissimi nelle varie stagioni turistiche che si condensano in un'unica stagione turistica (estiva: luglio e agosto; termale: la mezza stagione; invernale: da Natale a marzo) e dura quasi un anno.
    Importante la storia del paese che ha segnato momenti esaltanti ed ha lasciato un patrimonio unico per le Marche, come la Biblioteca che unitamente alla Pinacoteca può vantare reperti di assoluta rarità e pregevolezza. Importanti sono i ricordi lasciati da personaggi illustri tra i quali spicca in assoluto San Francesco che ha vissuto alcuni giorni sul territorio dimorando a Roccabruna e Soffiano ed incontrando i Brunforte a Campanotico.

    Molteplici sono i beni naturali di cui dispone il territorio come le fresche e salutari acque minerali, il territorio ricco di boschi e di corsi d'acqua, le montagne generose di sentieri panoramici e di versanti acclivi per potervi svolgere nelle stagioni appropriate le molteplici attività di sports invernali. A ciò si aggiunga la possibilità di visitare località di notevole interesse artistico, storico, culturale e religioso situate nel circondario, escursioni in ambienti naturali particolarmente suggestivi: come ad esempio al Lago di Pilato, alle Gole dell'Infernaccio e alle grotte di Frasassi.

    LE ACQUE

    Acqua oligominerale S.Giacomo. Bicarbonato calcica

    Utilizzata nella cura idropinica è indicata per calcolosi delle vie urinarie e renella, infiammazioni acute e croniche delle vie urinarie (pieliti, cistiti, uretriti, ecc.) esiti di glomeerulofreniti, manifestazioni iperucemiche (gotta tipica ed atipica), atonia gastro-intestinale, stitichezza abituale, colecistipatie calcolose e non, malattie del ricambio.

    Acqua oligominerale Tre Santi. Bicarbonato calcica

    Utilizzata nella cura idropinica è indicata per calcolosi delle vie urinarie, malattie dell’apparato urinario in
    genere, malattie del ricambio e gastrointestinali. Utilizzata nella Balneotearpia è indicata per affezioni del circolo venoso ed arterioso (fragilità capillare, incipiente insufficienza venosa degli arti con o senza alterazioni trofiche cutanee, postumi di flebiti, linfangite, arteriopatie periferiche), malattie artroreumatiche (artrosi ed artrite cronica, postumi di traumi articolari, fratture ossee e reumatismi extraarticolari) e osteoporosi.


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    Acqua minerale Terro. Sulfureo-salsa

    Utilizzata nella cura idropinica è indicata per malattie croniche dell’apparato respiratorio (broncopneumopatia cronica ostruttiva, bronchiti croniche catarrali, bronchite asmatica, enfisema polmonare, ecc.) malattie otorinolaringoiatriche (riniti croniche, riniti ipertrofiche ed atrofiche, faringiti croniche, tonsilliti croniche, laringiti croniche, disfonie dei fumatori, tracheiti recidivanti, sordità rinogena ed otiti dell’orecchio medio. Utilizzata nella Balneoterapia è indicata per malattie artroreumatiche (artrosi ed artrite cronica, postumi di traumi articolari, fratture ossee e reumatismi extraarticolari), malattie cutanee (acne giovanile, iperseborrea, eritemi di natura allergica, eczemi, ecc.). Utilizzata nelle cure ginecologiche è indicata per: vaginiti, craurosi vulvare, annessiti, cerviciti catarrali di vario genere, sterilità secondaria.

    Fango vulcanico

    E’ indicato per malattie artroreumatiche (artrosi ed artrite cronica, postumi di traumi articolari, fratture ossee e reumatismi extraarticolari), malattie dermatologiche (acne giovanile, eritemi, eczemi, micosi, psoriasi, iperseborrea).

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    IDROPINICHE

    L’idropinoterapia, o cura idropinica, consiste nella somministrazione di acqua termale per bibita a scopo terapeutico.

    L’acqua viene bevuta lentamente lontano dai pasti, dopo una visita e relativa prescrizione medica, in una quantità che varia da 1 a 4 litri/giorno.
    Ha un’azione stimolante sull’apparato intestinale ed epatico favorendo la secrezione biliare e quindi migliorando al digestione.

    Consigliata per:

    gastriti ed esofagiti croniche
    ernie iatali
    coliti
    colon irritabili
    diverticolosi
    dispepsie
    calcolosi biliari
    epatomegalie
    stipsi croniche
    osteoporosi.

    Le cure inalatorie

    Areosol

    L'acqua sulfurea viene utilizzata per le affezioni otoiatriche e malattie croniche dell’apparato respiratorio in virtù dell'azione fluidificante e stimolante della secrezione catarrale con relativa detersione delle mucose, oltre all’essenziale caratteristica antimicrobica e antinfiammatoria.
    Le terapie utilizzano metodi diversi nelle molteplici applicazioni.

    Alcune cure inalatorie possono essere impiegate molto efficacemente nei bambini.

    Inalazioni a getto diretto: l’acqua sulfurea, riscaldata, viene polverizzata in gocce vapore di circa 100 u di diametro, che si arrestano nelle prime vie aeree.

    Aerosol: nell' apparecchio ad acqua fluente l'acqua viene micronizzata in particelle di 1 - 2 u e quindi si diffonde fino al livello degli alveoli polmonari.

    La durata di tali terapie e di circa dodici minuti ognuna per ogni seduta.

    Insufflazioni-politzer: il gas sulfureo viene inoltre utilizzato,a diverse pressioni, nella cura per la sordità rinogena.
    Aattraverso il cateterismo tubarico con sonda il gas viene insufflato direttamente sia nella Tuba di Eustachio che nella cavità dell’orecchio medio, dove esplica la sua azione anticatarrale ed anti infiammatoria con relativa rielasticizzazione della membrana timpanica, riventilazione dell’orecchio medio e conseguente miglioramento della facoltà uditiva.

    Nebulizzazione: utilizzata nelle affezioni respiratorie medio basse e viene effettuata collettivamente in ampio ambiente speciale con degli erogatori dai quali fuoriesce l’acqua sulfurea micronizzata sotto forma di goccioline di 50 - 60 u.
    L’esposizione nella stanza di nebulizzazione varia, a seconda dei casi, dai 15 ai 30 minuti.

    Docce nasali: sotto forma di acqua non vaporizzata, l’acqua sulfurea è particolarmente indicate nelle ipertrofie dei turbinati ben evidenti nelle riniti ipertrofiche, allergiche e spesso nelle sinusiti.

    Humage: trattamento con gas sulfureo prodotto dal gorgogliamento dell’acqua sulfurea sotto pressione che provoca la liberazione dell’acido solfidrico nell’aria.
    L'humage può essere praticato in ambiente singolo o collettivamente e costituisce una delle più valide terapie inalatorie nelle affezioni dell’apparato respiratorio, soprattutto di quelle bronco-polmonari.


    La balneoterapia termale, utilizzando acque minerali terapeuticamente attive, associa alle proprietà fisiche (aspecifiche) gli effetti biologici e terapeutici esercitati dai mineralizzatori che rendono ogni acqua minerale una soluzione a composizione chimico-fisica peculiare.

    La tecnica del bagno segue dei principi generali anche se sono possibili variazioni nelle modalità di applicazione (durata, temperatura, etc.) secondo l'acqua minerale utilizzata e la
    patologia da trattare.
    La balneoterapia generale con acqua minerale calda o riscaldata viene effettuata in apposite vasche singole.

    Consigliata per:

    malattie osteoarticolari
    malattie vascolari
    malattie dermatologiche
    trattamento di cicatrici da ustioni
    cure ginecologiche
    estetica


    Per la fangoterapia si utilizza un fango parassitario,prodotto residuo di feldspati delle rocce trachitiche, combinate con resti amorfi fi silicati di alluminio, materie ferrose e calcaree, sali
    alcalini e cloruro di sodio.

    L’acqua satura di materiale minerale, circolando a diverse profondità, trova sbocco sulle superficie terrestre. La massa fangosa, preparata in blocchi solidi, viene essiccata e unita a
    paraffina.

    Consigliata per:

    reumatologia,nelle forme infiammatorie croniche degli organi della digestione, delle vie urinarie, degli organi genitali e nella psoriasi e in altre patologie della pelle.


    sarnano


    Un centro diventato libero comune nel 1265, caratterizzato architettonicamente da piccoli edifici arroccati attorno ai beni dei poteri di quell'epoca: la chiesa di S.Maria di Piazza, il Palazzo del Popolo, il Palazzo del Podestà ed il Palazzo dei Priori.

    Piccoli edifici ma di grande importanza storica, come la biblioteca francescana, tramandataci dai padri Filippini, assolutamente di grande pregio per tutte le Marche.


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    Importanti sono le chiese e gli edifici pubblici come la sede comunale (ex Convento di San Francesco) con l'attigua chiesa dedicata proprio a quel Santo che divise con i Sarnanesi del 1214-15 circa un breve periodo di soggiorno.

    Il cotto è l'elemento caratterizzante e predominante del paese; e solo con tale materiale fu edificato l'antico borgo: dalle murature portanti alle coperture con volte, dalle colonne ai pilastri, capitelli e lesene, dalla pavimentazione esterna dell'intero abitato a tutti quegli elementi decorativi necessari per dare a questa architettura la semplicità e la purezza del calore umano. Della nostra epoca sono invece i sapienti interventi di restauro e di conservazione, in perfetta armonia con la bellezza delle strutture esistenti.

    Sarnano


    L'ARTE

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    Nella Piazza Alta del paese s'innalza la chiesa di S.Maria Assunta, edificata nella seconda metà del sec. XIII, sovrastata da un massiccio campanile. La facciata è abbellita da un bel portale di pietra bianca riccamente scolpito nella cui lunetta è raffigurato il Transito della Madonna.
    All'interno diverse opere di notevole pregio come la Madonna degli Angeli di Lorenzo D' Alessandro (1483) e una Crocifissione di Girolamo di Giovanni (sec.XV).


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    Oltre alla chiesa, si affacciano sulla piazza anche altri edifici pubblici: il Palazzo del Popolo, trasformato nel 1831 in Teatro, il Palazzo dei Priori ed il Palazzo dei Podestà.


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    Poco più in basso, la chiesa di San Francesco del sec. XIV, rimaneggiata. Accanto la Pinacoteca che conserva opere di eccezionale interesse tra le quali la Madonna con Bambino ed Angeli di Vittore Crivelli. Inoltre dipinti di significativi rappresentanti della pittura marchigiana, quali Stefano Folchetti "Crocefissione" sec. XVI, Simone De Magistris "Ultima Cena" sec. XVII e Vincenzo Pagani del quale si conservano cinque magnifiche tavole del sec. XVI.


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    I MUSEI

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    Particolare interesse storico-culturale suscitano il Museo delle Armi Antiche e Moderne, il Museo dell'Avifauna e Flora degli Appennini, il Museo del Martello.



    MOSTRA PERMANENTE DI MARIANO GAVASCI


    Pittore del XX secolo, oriundo di Sarnano.
    Opere presenti in molte collezioni private e pubbliche.





    fonte: termedisarnano.it/
    foto:turismocongusto.it
    -hotelsinmarche.com
    - museosarnano.it/
    -macerataitinerari.it
    - bellemarche.co.uk
    - anellodeicrinali.it
    - http://win.cmdcm.it/


    (Ivana)

  4. Posted 19/11/2011, 14:58

    SERRAPETRONA


    serrapetrona


    Serrapetrona si erge in posizione assolata a 500 mt di altezza tra le colline e le montagne dell'alto maceratese. Capoluogo di comune e piccolo centro agricolo specializzato nella coltivazione di vini pregiati è situato sulla strada che unisce la Valle del Potenza con quella del Chienti snodandosi sulle colline ricche di uliveti, vigneti e macchie di vegetazione. L'economia serrana si è sempre sostenuta sui prodotti della terra, sul taglio dei boschi, sulla produzione del carbone, sulla pastorizia e sull'allevamento del baco da seta. Sono motivo di richiamo le numerose proprietà curative delle acque leggerissime, che sgorgano dalle antiche fontane del paese. Abitata fin dall'Età del ferro vive per il passaggio prima dei Piceni, poi dei Romani e infine dei Longobardi. Lo stemma del Comune indica chiaramente che la fortificazione fu edificata per serrare l'antichissima strada montana per Camerino. Per avere notizie certe dell'abitato di Serrapetrona bisogna comunque attendere ancora 400 anni, è infatti in un documento del 1132 che appare il nome di "Serra". Risalgono a questo periodo la Cinta Muraria, il Palazzo Del Feudatario Petrone e la Chiesa di S. Clemente. Alla seconda Cinta Muraria del XIV sec. appartengono la Porta Arcata, le Mura con le feritoie e la strada coperta con la caratteristica loggetta. La vita politica dei suoi abitanti fu regolata dagli statuti dei quali ammiriamo un'unica raccolta risalente al 1473 custodita nell'archivio comunale. Assoggettata prima alla Signoria dei Varano di Camerino passò poi alle dipendenze della Sede Apostolica fino al 1861 quando entrò a far parte del Regno d'Italia. La viticultura a Serrapetrona ha storia secolare avvantaggiata dal clima e dal terreno ricco di sostanze nutritive. Nel secolo scorso tutta la zona si distingueva per la qualità dei suoi vini, ma è da 70 anni che il suo nome è legato con la vernaccia. Diverse case vinicole puntando sulla qualità, infatti coltivano, producono e commerciano vernaccia D.O.C. Numerose sono le cantine, gli agriturismi e i ristoranti tipici che sorgono sia nelle vicinanze del rinomato Lago di Caccamo che nell'entroterra comunale di Serrapatrona nei quali si possono gustare specialità locali e godere della tranquillità dei paesaggi.


    da: marchecittà.it




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    Patrimonio artistico e culturale della città





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    chiesa e castello


    - Chiesa di S. Elena (loc.tà Villa D'Aria), costruita nel XIII Secolo.


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    - Chiesa di S. Francesco, costruita nel XIV Secolo in Stile Gotico.
    - Chiesa di S. Giovanni Battista (loc.tà Collina), costruita nel 1199.
    - Chiesa di S. Lorenzo (loc.tà Castel S. Venanzo), costruita nel XV Secolo circa.



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    - Chiesa di S. Maria di Piazza, costruita nel XVI Secolo in Stile Romanico.
    - Chiesa di S.Giacomo (loc.tà Caccamo), costruita nel XIV Secolo circa.
    - Chiesa S.Paolo (loc.tà Borgiano), costruita nel XIII - XIV Secolo.
    - Madonna del Ponte (loc.tà San Venanzo).
    - Madonna della Croce (loc.tà Colli), costruita nel XVI Secolo.
    - S. Maria delle Grazie, costruita nel 200 in Stile Romanico.
    - San Giuseppe.
    - Sant'Angelo in Collina, di Proprietá Privata (famiglia Botta).



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    - Santuario Madonna Della Neve (loc.tà Madonna del Monte), costruita nel XVIII Secolo.
    Il Santuario Madonna della Neve nasce nel 1714 grazie alle offerte donate dagli abitanti del paese di Serrapetrona in provincia di Macerata, più precisamente da quelli che vivevano nelle frazioni di Villa D’Aria e di Castel S. Venanzio.

    La costruzione è avvenuta sopra il monte che porta lo stesso nome della frazione di Villa D’Aria e proprio qua, il santuario si vide edificare in pochi anni.

    Proprio in questa zona montuosa molti contadini vi si recavano per far pascolare il proprio gregge e a causa di tutto ciò, molte furono le fiere a tema dove merci e animali venivano venduti e scambiati.

    La struttura non ha nulla di caratteristico, è a forma di capanna e vuole sicuramente richiamare la semplicità dei fedeli costruttori e di come basti così poco per pregare la Madonna e il Signore.

    La ristrutturazione del santuario avvenne nel 1965 e da allora continua ad avere frequentazioni di pellegrini che scalano la montagna per arrivare in vetta alla piccola chiesa.

    Tutti gli anni, la prima domenica di Agosto, si festeggia la festa della Madonna della Neve.


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    - Fonte delle Conce.

    L'abbondanza di acqua è sempre stata una delle maggiori risorse di Serrapetrona.
    La Fonte si presenta con l'aspetto caratteristico di tutte le fonti a due fornici, presenti in tutti gli antichi borghi del territorio. Ma questa di Serrapetrona, nel pilastro in mezzo alle due vasche, proprio nel punto da cui si dipartono i due archi, reca ancora visibile la l'incavo della nicchia rettangolare che ospitava l'affresco di una Madonna e Bambino, quasi copia dell'affresco di S. Maria delle Grazie, che ora si trova al sicuro nella chiesa di S.Francesco.
    In passato la Madonna fu ospitata nell'edicola di viale Umberto I, sotto la lussureggiante galleria di ippocastani che, uscendo dall'abitato, conduce alla strada per Sanseverino.
    L'edicola si chiama Edicola delle Conce e, posizionata sulla seconda cornice del monte, è allineata alla Fonte delle Conce.
    Esternamente alla parete destra dell'edicola è incisa una lapide che riassume le vicende dell'affresco:
    LA SACRA IMMAGINE
    CHE LA PIETA' DEGLI AVI POSE A ORNAMENTO E TUTELA
    DELLA FONTE DELLE CONCE
    LUNGO L'ANTICA STRADA COMUNALE
    E CHE COL MUTARE DI QUESTA FU PIU' VOLTE SPOSTATA
    EBBE STABILE E DECOROSO ASILO
    NEL 1895
    PER INIZIATIVA E CURA DI ELVIRA CONFORTI FABRINI
    COL CONCORSO DEI FEDELI

    Fonti
    Giacomo BOCCANERA, Serrapetrona



    - Museo Pinacoteca d'Arte Sacra Contemporanea.




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    - Museo dell'Uomo.
    Nell'anno 1995 l'amministrazione comunale istruttura una antica torre di guardia con le rispettive buche dove uscivano le canne di cannone. All'interno della torre, grazie all'opera di Rinaldo Antolini, volontario locale, e' stato messo a punto un piccolo museo con tutti gli strumenti serviti all'uomo prima dell'evento della piu' sofisticata tecnologia. Gli oggetti sono stati donati dalle famiglie del circondario e guardandole si ha la sensazione di ripercorrere lo sviluppo socio - economico della collettivita' di Serrapetrona. E' collocato sulla piazza principale in via Castello ed e' visitabile con apposita guida.







    - Archivio storico.



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    La Vernaccia di Serrapetrona

    La Vernaccia D.O.C.G. di Serrapetrona proviene dalle uve del vitigno omonimo, coltivato fin dagli antichi tempi. Il Conti, nella Storia di Camerino e dintorni, riferisce che nel Medio Evo, un polacco al soldo di truppe mercenarie, attratto dalla Vernaccia prodotta nella zona esclamasse: "Domine, Domine quare non Borgianasti regiones nostras" (Signore, Signore, perchè non hai fatto le nostre terre come Borgiano?) E Borgiano, naturalmente, è una frazione del Comune di Serrapetrona.
    Certo è che nel 1893 la produzione era tanto piccola che si diede per estinto il suo vitigno, la Vernaccia nera, anche se nel 1876 un documento ufficiale del Ministero dell'Agricoltura, il "Bollettino Ampelografico", sottolineava come "fin dal 1872 la Vernaccia venne dichiarata la prima delle uve colorate per fornire eccellenti vini da pasto".
    Vino raro ma molto apprezzato: scrittori di fama, come Mario Soldati, e gastronomi illustri hanno celebrato le sue virtù. L'eccellenza di questo spumante rosso naturale, derivato da una vendemmia particolare dove meta' dell'uva viene messa ad essiccare su graticci prima di essere spremuta, non impedì che la produzione rimanesse sempre molto limitata. Ancora oggi, dopo lo sviluppo produttivo seguito al riconoscimento della D.O.C. nel 1971 e D.O.C.G. nel 2003, la superficie vitata è di solo 45 ettari! Alla preparazione di questo vino concorre generalmente l'uva omonima per l'85%, il restante 15% è rappresentato dal Sangiovese e dal Montepulciano o Ciliegiolo. Una parte delle uve di Vernaccia (circa il 40%) viene fatta appassire leggermente.










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  5. Posted 11/11/2011, 17:28

    Museo Tattile Statale Omero


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    Istituito nel 1993 dal Comune di Ancona con il contributo della Regione Marche, su ispirazione dell'Unione Italiana Ciechi, il Museo Omero è stato riconosciuto dal Parlamento, nel 1999, Museo Statale con Legge numero 452 del 25 novembre 1999, confermandogli una valenza unica a livello nazionale.
    Il Museo Omero ospita una ricca collezione fruibile tattilmente, unica nel panorama italiano e costantemente impreziosita con nuove acquisizioni, al fine di documentare in modo organico l'arte plastica e scultorea di tutti i tempi. Nello specifico è presente una sezione di modelli architettonici, una sezione di scultura antica e moderna composta da calchi e copie in resina e gesso, una sezione di scultura contemporanea con opere originali nonché una sezione di archeologia con reperti originali.

    Centro di Documentazione legato alle specifiche attività didattiche e formative svolte presso il Museo. È specializzato, in particolare, nei settori relativi alla pedagogia e didattica delle arti e dell'archeologia, all'estetica e all'accessibilità ai beni museali per le persone con minorazione visiva e, più in generale, per le persone diversamente. Centro dispone di una bibliografia specifica sulle tematiche in questione, con testi in nero e in Braille, video, DVD e audiocassette, consultabili in sede. Di recente ha dato vita ad una propria produzione, "Le dispense del Museo Omero", pubblicazione che raccoglie e divulga le linee pedagogiche, le riflessioni e le esperienze più significative maturate e sperimentate nell'ambito delle diverse attività svolte nel corso
    degli anni.


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    Istituito nel 1993 dal Comune di Ancona con il contributo della Regione Marche, su ispirazione dell'Unione Italiana Ciechi, il Museo Omero è stato riconosciuto dal Parlamento, nel 1999, Museo Statale con Legge numero 452 del 25 novembre 1999, confermandogli una valenza unica a livello nazionale.

    La finalità del Museo, come recita l'articolo 2 della suddetta Legge, è quella di "promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e di diffondere tra essi la conoscenza della realtà". Il Museo Omero vuole comunque essere uno spazio culturale piacevole e produttivo per tutti, proponendosi come struttura all'avanguardia dotato di un percorso flessibile che si adatta ad ogni specifica esigenza del visitatore.


    Il Museo è attualmente ospitato in uno spazio di 750 metri quadrati di superficie distribuito su tre piani.
    La sede del Museo è stata completamente rinnovata e inaugurata il 2 dicembre del 2003.


    Progettata dall'architetto Alessandra Panzini in collaborazione con l'architetto Giovanni Fraccascia, la struttura è in grado di offrire un percorso continuo privo di barriere architettoniche e rispondente a tutti i gradi di sicurezza previsti dalle vigenti norme.

    La parte espositiva è organizzata in sezioni: al primo piano si trovano i modelli architettonici; nelle sale del secondo piano si sviluppa il percorso cronologico della scultura: dalle copie al vero, in gesso e vetroresina, dell'arte egizia e greca fino alle opere originali di scultura contemporanea.
    Nel corridoio è disposta la sezione di acheologia e quella dedicata alla mimica del volto umano. Al terzo piano si trovano i servizi del museo: la nuova sala conferenze per video proiezioni, il laboratorio per le attività didattiche, il centro di documentazione. L'allestimento si avvale di pannelli cromatici che contraddistinguono le diverse sezioni.

    L'accessibilità ai visitatori portatori ai diversamente abili è garantita da un secondo ingresso collegato alla sede stradale tramite una rampa a norma e da una pedana mobile per salire ai piani superiori.
    Il Museo è dotato di tutti i supporti per i visitatori ipo e non vedenti: sistema di walk assistant, scale mobili, sussidi didattici, come le tavole in rilievo utili alla conoscenza degli stili e alla comprensione dell'architettura, le schede informative sulle opere, disponibili in nero e in Braille.

    Inoltre è presente una postazione multimediale disposta anche per non vedenti e ipovedenti: il computer è dotato di sintesi vocale, lente d'ingrandimento e utilizza un sistema operativo, denominato Bright Ubuntu, aperto, gratuito e sviluppato appositamente per essere utilizzato dai disabili visivi. La postazione mutlimediale, frutto di un progetto in collaborazione con l'Università di Ingegneria di Ancona e la Provincia, permette a tutti i visitatori di raccogliere le informazioni sul Museo utilizzando internet e altri programmi.



    da: museoomero.it


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  6. Posted 5/5/2011, 15:26

    LE GROTTE DI CAMERANO




    Cunicoli, grotte, mondi sotterranei
    Le Marche sono piene di città del sottosuolo, e Camerano ne è forse l'esempio più suggestivo.



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    Immersa nel verde e nell'oro delle campagne marchigiane, la cittadina riposa placida su una collina, col mare a portata di sguardo. Sopra, i bar, le chiese, le piazzette e i negozi. Il ritmo placido è rassicurante delle piccole comunità. Ma sotto, nelle sue viscere, da sempre è custodito un reticolo di cunicoli e tunnel, di stanze e di camere, arzigogolato come un immenso formichiere. Che fa di Camerano una città misteriosa.
    Sotto la sua superficie si nascondono due kilometri di interstizi e androni, scavati nell'arenaria e nell'argilla e nel tufo. Fino al 2008 erano visitabili solo parzialmente, un po' qua e un po' là. Ora, la metà di quel percorso è stato restaurato e aperto al pubblico, ampliato, illuminato e sistemato anche grazie ai contributi di Ikea, arrivati con l'inaugurazione del megastore ad Ancona Sud. La gita inizia proprio nell'ufficio turistico di Camerano, in via San Francesco. Dove si apre una porticina che dà su delle scalette, verso un mondo nascosto. Che attraversa e in qualche modo unisce tutto il paese, come un grande strada comune, una piazza sotterranea, uno spazio condiviso. E difatti, negli secoli, le grotte sono state spesso teatro di incontri segreti, scorribande notturne. Rifugi e feste. Ma andiamo con ordine.

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    Si scende accompagnati da una guida. (Tre visite al giorno nel finesettimana, tutti i giorni dal il primo giugno al 30 settembre, per info contattare l’ufficio turistico di Camerano). E subito ci si ritrova in un corridoio umido e illuminato dove si susseguono tante nicchie suddivise da degli archi. Ognuna di queste, per generazioni e generazioni, è stata usata come cantina dagli abitanti delle case sopra, che attraverso piccoli passaggi e botole depositavano qui bottiglie e botti di squisito Rosso Conero. Ognuno aveva la percezione solo del proprio pezzo di grotta, della propria cantina, divisa dalle altre con assi di legno. Gli abitanti del posto tornarono a riscoprirle durante la Seconda Guerra Mondiale, quando, nel 1944, il fronte si fermò per diciotto giorni in queste zone, poco più a sud della Linea Gotica, e il Paese intero insieme a qualche sfollato da Ancona si rifugiò là sotto, per sfuggire alle bombe e alle granate. Alberto Recanatini, studioso e speleologo del monte Conero, nei suoi libri si è fermato spesso a ricordare quei momenti, ancora vivi nella mente degli anziani che allora erano bambini: "Son rimasto colpito sin d'allora da questo scendere silenzioso, attonito e compatto della popolazione nelle grotte e sono rimasti per sempre nella mia mente i volti pallidi d'ansia, di spavento e di dolore della gente costretta a lasciare le proprie case… Le famiglie presero posto nelle nicchie scavate in varie ramificazioni delle grotte, l'una di fianco all'altra, così come vivevano prima nelle case addossate l'una all'altra lungo la via." Nelle antiche chiese sotterranee in quei giorni si tornò a celebrare messa, mentre nella grande grotta del camerone, l'antro più spazioso di questo percorso ipogeo, fu allestito un ospedale trasformato subito dopo la guerra in una sala da ballo, poiché i ragazzi, deposte le armi, avevano solo una gran voglia di danzare.


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    Proprio la grotta del camerone nasconde il primo segreto del lungo percorso. Su uno dei quattro lati della grande sala è scavato un antro abbastanza profondo, fiancheggiato all’entrata da due colonne in bassorilievo scavate nel calcare. Una struttura che ha lasciate aperte molte supposizioni. Forse, nell’epoche più remote, quella cavità era il tabernacolo di qualche divinità pagana, oppure era la postazione dove i capi della antica comunità sedevano durante i consigli civili o i riti religiosi. Resta il fatto che la grande stanza ha delle somiglianze molto marcate con altri ipogei dell'area umbro-etrusca. La tesi più accreditata è che le grotte nacquero a scopi difensivi. Erano antri dove gli abitanti di Camerano e si rifugiavano dagli attacchi delle popolazioni nemiche. Esattamente come nella antica Cappadocia raccontata da Senofonte nell'Anabasi, che ovunque era trivellata di città sotterranee dove la gente sfuggiva dalle razzie dei Persiani. Che siano stati briganti, romani, corsari turchi, Uscocchi o briganti, nei secoli le grotte cameranensi hanno offerto riparo dalle violenze della guerra, esattamente come avvenne nel 1944, e ogni generazione ha contribuito ad abbellirle ed ampliarle.


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    Supposizioni, perché davvero poco si sa delle grotte di Camerano. Testimonianze scritte non sono mai state rivenute, ne' documenti o altri reperti archeologici in grado di gettare luce sulla loro origine. Forse i primi a scavarle furono i Piceni, la civiltà preromana che dominò tutta questa zona fino al III secolo a.c. Forse le prime grotte sono del 1000 a.c., perché sul territorio di Camerano è stata ritrovata una antica necropoli picena, ricca di reperti databili tra il XI e il III secolo a.c. Ed è probabile che poi le costruzioni sotterrane si siano sviluppate insieme alla città, secolo dopo secolo, ramificazione dopo ramificazione, come fossero la sua anima più segreta e nascosta, che vive all'ombra della luce. La case e le mura di Camerano crescevano, sotto le grotte aumentavano il loro volume.
    Fu dunque con la guerra, 66 anni fa, che la popolazione di Camerano imparò a riscoprirle e a rendersi conto che ognuna di quelle nicchie, se unite una all'altra, formavano un immenso reticolo. E così, con la pace, il popolo tornò a viverle per organizzarvi feste, oppure per imbastirvi scherzi, con i più burloni che le utilizzavano per fare sortite a casa d'altri e combinarne di ogni, com'è nella indole mattacchiona degli abitanti del posto. Ma insieme agli scherzi, arrivarono anche furti e ruberie. E così le cantine furono murate, con grave danno per tutta la loro struttura. Perché con la mancanza d'ossigeno la roccia calcarica si fece più fragile e friabile. Arrivarono i primi crolli, e in alcune stanze fu necessario costruire colonne e muri di rinforzo posticci.


    Si sale e si scende su varie altezze, lungo un percorso labirintico. Simboli sacri, numerologia. Nicchie e planimetrie disposte come richiesto dalle scenografie massoniche. Il percorso permette alla fantasia di galoppare, inseguendo sotterranee suggestioni stratificati su tre piani scavati nella roccia. Come nella grotta Corraducci, che distende i suo androni sotto le fondamenta dell'omonimo Palazzo, da sempre magione di una prestigiosa famiglia del luogo. Tra i vari ambienti che ne compongono l'articolazione il più impressionante è la sala centrale, elegante e ariosa. Racchiusa da una volta a cupola decorata con vele a basso rilievo e accerchiata da dodici nicchie, ognuna fiancheggiata da sottili colonne decorate da capitelli neoclassici. Uno spazio su cui molto si è fantasticato. A partire dalle tendenze politiche della famiglia Corraducci, prima fiancheggiatrice di Napoleone e poi vicina alla Massoneria. Infittisce il mistero una particolarità architettonica, perché dei dodici androni che accerchiano il salone centrale, uno conduce in una stanza nascosta, attraverso un passaggio molto angusto che solo una persona alla volta può varcare. Alcuni ritengono che quella grotta in passato era destinata a riunioni segrete e a riti di affiliazioni consumati lontano da occhi indiscreti. Nelle grotte ci si poteva spostare, muovere inosservati, chiamarsi a raccolta segretamente. E a Camerano, nei secoli, in quella dimensione sotterranea hanno convissuto vari orientamenti politici e religiosi. Perché se i Corraducci erano di tendenze laiciste, di altro avviso erano i Mancinforte, una delle famigli storiche della città, che nelle sue grotte aveva costruito una chiesa. Anche qui, nel plesso dei Manciforte, troviamo una sala circolare identica per struttura a quella dei Corraducci, decorata però da bassorilievi in stile settecentesco: un calice, una croce e un trimonzio incisi sul pilastro centrale che si erge nel mezzo della stanza, alla cui base si riconosce un altare, lo stesso usato dai rifugiati della seconda guerra mondiale per celebrare messa.


    Stanze circolari tornano ancora nel plesso delle grotte Trionfi, finemente decorate anch’esse fra nicchie dalla volta a botte e bassorilievi. Su una parete spicca una croce trilobata, la croce dei Templari. Secondo gli antichi racconti della gente di Camerano, qui erano soliti riunirsi i “monaci guerrieri”. Una leggenda che regge su alcuni elementi storici, perché nella città, che è sulla strada per Loreto, era assidua la presenza degli ordini cavallereschi cristiani. C’era un antico ospedale dei pellegrini e una chiesa dell’Ordine Ospitaliero distrutta nel XVIII secolo, nonché varie proprietà, proprio nella contrada Trionfi, dei Cavalieri di Malta. Una stella a otto punte decora il soffitto di una delle due stanze. Otto, numero caro agli ordini cavallereschi: simbolo dell’infinito, dei pianeti e della rosa dei venti.
    Ancora una chiesa sotterranea è quella del Palazzo Ricotti, dotata di abside ellittica, di una cripta che sprofonda nel pavimento e decorata da una croce greca scolpita nella roccia. Forse, nei secoli, tutti quegli antri furono usati soprattutto come cantine per il vino. Ma i dubbi e i misteri non mancano. Attraverso quei cunicoli la storia segreta, introversa, nascosta di Camerano si è consumata lontano dalla luce, con la costellazione delle grotte che erano forse micro cosmi a se stanti, oppure organismi che comunicavano fra loro, tessendo un discorso che solo chi in quell’ambiente ipogeo è vissuto può afferrare e decodificare.




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    Marco Benedettelli
    dal web
  7. Posted 26/2/2011, 09:05
    grazie ivana
  8. Posted 23/2/2011, 13:33

    Museo della Tessitura-Macerata



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    un particolare del telaio

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    La tela di Ginesi e Varagona

    Fra le vallate del Chienti e del Potenza, protetta da mura medioevali, Macerata domina la sommità di una collina, aprendo la vista al mare da un lato e alla montagna dal versante opposto.

    E' qui che dal 1986 nel laboratorio di tessitura "La Tela di Ginesi e Varagona" si trasmette la tipica tradizione tessile dell'entroterra marchigiano. Al di là dell'antica Porta di S. Giuliano, le stanze che si susseguono oltre l'entrata del laboratorio, raccolgono da molti anni oggetti e memorie di un'arte che è stata capace di testimoniare il progresso culturale dell'uomo nel corso dei millenni.


    Descrizione del museo

    Tre gli ambiti museali all'interno del laboratorio:


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    il corridoio degli strumenti della memoria

    l'angolo della tessitura a liccetti

    il giardino delle piante tintoree da fibra

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    L'obiettivo è quello di dare al visitatore una panoramica didattica che gli offra una chiave di lettura per l'interpretazione di quei reperti riferiti alla tessitura, visibili in molte aree museali archeologiche, di sperimentare la tipica lavorazione sapientemente custodita e tramandata nel nostro territorio e di percorrere un breve sentiero nel nostro giardino, nel quale viene presentato una piccola collezione di piante da cui si trae la fibra o il pigmento per il colore.


    I tre percorsi del Museo

    Il corridoio degli strumenti della memoria

    Oltre il cancello di ingresso in ferro battuto che costituisce si apre un vano lungo e stretto in cui sono collocati

    * gli strumenti tradizionali per la filatura come la gramola , la rocca , il fuso , l'arcolaio , l'aspo , il dipanatore , il mulinello la cui datazione si aggira intorno la fine dell'800 e i primi decenni del '900;
    * la ricostruzione di un telaio primordiale verticale a pesi e un di un telaio orizzontale a tensione simile a quello utilizzato dalle popolazioni picene nel VI sec. a.C. e di cui si hanno recenti testimonianze dagli scavi nel sito di Numana (AN) conosciuto come "La tomba della Regina";
    * Lungo le pareti è rappresentata una documentazione fotografica delle varie fasi della lavorazione artistica tessile della tradizione popolare e una collezione di motivi decorativi tessuti con l'antica tecnica dei "liccetti" (sec. XIII- XIV).


    L'angolo della tessitura a liccetti

    * E' corredato da un telaio tradizionale impostato secondo l'antico procedimento tessile che, fin dal XIII-XIV secolo, ha permesso la realizzazione su tessuto di liste figurative stilizzate per mezzo di un programma impostato manualmente sull'ordito e fissato su alcune canne pendenti fra il subbio e i licci.
    * Lungo le pareti della grande sala é allestito un breve percorso fotografico nel quale sono illustrate alcune opere di grandi artisti, presenti nella nostra Provincia, che hanno rappresentato tovagliati tessuti secondo questa preziosa tecnica.


    Il giardino delle piante tintoree da fibra

    * Nel piccolo giardino interno al laboratorio, è presente una esemplificativa collezione di piante tintorie e da fibra per esperienze di tipo didattico - comunicativo.
    Si tratta per lo più di specie erbacee ed arbustive utilizzate fin dall'antichità, sia per la coloritura dei tessuti, sia per la loro tessitura, fino alla fine dell'800 quando molte di esse vennero sostituite da prodotti di sintesi.


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    Il saltarello

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    Il saltarello è un'ampia famiglia di balli tradizionali di alcune regioni dell'Italia centrale (Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria e Molise). Solo poche aree però conservano oggi una tradizione viva ed autentica del ballo. Dagli anni '50 l'emigrazione, l'arrivo di nuove mode di ballo e il mutamento generale dei modelli di vita hanno rarefatto la pratica del vecchio saltarello.
    La maggior parte dei repertori consiste in balli di coppia (non necessariamente uomo-donna), ma esistono forme più rare a quattro persone, in cerchio e processionali. Sul piano della struttura coreografica si ritrovano forme antiche mono-strutturate, ma il modello più ricorrente è quello a struttura bipartita o tripartita.
    Un discorso a parte merita un particolare tipo di danza tradizionale in forma di contraddanza detta anche saltarello ed attestata sul versante adriatico di alcune regioni (Emilia e Romagna, Marche, Toscana e Veneto). Nonostante il nome (che si associa a quello di ballinsei e russiano), sembra piuttosto appartenere alla famiglia delle gighe dell'Italia centro-settentrionale, poiché si balla in sei (3+3) a schiere contrapposte.


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    CENNI STORICI
    «La saltatio era un genere autoctono di ballo dei latini, di gran lunga il ballo più diffuso sin dai primi secoli di Roma, tanto che ben presto nella lingua latina saltationes e saltare hanno ampliato il loro campo semantico sino a significare in genere "balli" e "ballare". Mentre le choreae erano danze di gruppo ,di struttura circolare dall'andamento più grave e cadenzato, eseguite al suono di cantilene che gli stessi danzatori cantavano durante il ballo, le saltationes sembrano essere state fino a tutto l'alto medioevo delle danze di carattere più vivace, eseguite con varie combinazioni di ballerini e con elementi di evidente espressività erotica, tanto che non pochi interventi della chiesa in epoca tardo-imperiale e medievale hanno cercato di contenere l'uso delle saltationes durante le feste e durante gli stessi rituali liturgici. Saltarello sembrerebbe dunque derivare etimologicamente dalla saltatio latina, ma la scarsità di fonti scritte e figurative certe non ci permette una ricostruzione storico-morfologica del ballo e del suo uso popolare dalla latinità ai nostri giorni. Infatti un enigma storico ancora da chiarire sta proprio nel fatto che la maggior parte delle citazioniNel XIV sec. troviamo già alcune trascrizioni musicali di saltarello ... Nel 1465 il Cornazano lo indica come "balo da villa" molto frequente fra gli italiani. Tra il XIV e il XVII sec. il saltarello è uno dei quattro modi basilari della danza di corte italiana (bassadanza, saltarello, quaternaria, piva): gli ambienti aristocratici erano soliti ispirarsi ai balli popolari, per effettuare poi trasposizioni in stile aulico di musiche e coreografie. Nel XVIII e XIX sec. si è sviluppata per mano di numerosi artisti italiani e stranieri una ricca iconografia con scene di saltarello.

    Purtroppo le fonti letterarie oggi note non ci permettono di identificare una qualche forma dei saltarelli popolari rinascimentali, anzi si nota l'incongruenza fra le aree di diffusione del saltarello quattro-cinquecentesco prevalentemente attestato nelle corti dell'Italia centro-settentrionale e la diffusione degli ultimi due secoli delle versioni folkloriche in area centrale. Molti sono dunque i nodi da sciogliere sul piano storico.

    Nel XVIII e XIX sec. si è sviluppata per mano di numerosi artisti italiani e stranieri una ricca iconografia con scene di saltarello, osservate da viaggiatori e artisti, la cui descrizione tende però a dare più l'interpretazione del ballo secondo l'artista, che in modi obiettivi.

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    MORFOLOGIA
    In ambito popolare attuale il saltarello ha molte affinità con la tarantella dell'Italia meridionale, entrambe sono delle ampie e diversificate famiglie coreutiche, nelle quali modelli aventi lo stesso nome sono spesso morfologicamente differenti. Ambedue queste famiglie coreutiche presentano generalmente una struttura tipologica, sia musicale che coreutica, modulare: nell'esecuzione musicale piccole cellule melodiche vengono organizzate autonomamente in sintonia fra i suonatori, così come in quella coreutica i ballerini eseguono in stretta relazione fra loro i moduli cinetici tradizionali variamente organizzati. Suonatori e ballerini compongono cioè con relativa soggettività la durata e l'ordine del fraseggio coreo-melodico, cercando solo una corrispondenza ritmica fra danza e musica, ed una corrispondenza tematica nella danza".

    fonte: Comune di Macerata

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  9. Posted 11/1/2011, 12:19



    La cucina del territorio



    Regione di frontiera fra nord e sud le Marche vengono sicuramente influenzate dalle tradizioni gastronomiche delle regioni limitrofe, tali tradizioni culinarie comunque, nel corso dei secoli, sono state rielaborate e riadattate ai prodotti, al gusto ed alla cultura locale sino a renderle tipiche delle singole province e spesso anche con peculiarità che differenziano il territorio della stessa provincia, più che della regione nel suo complesso.
    L'arte culinaria e le tradizioni gastronomiche infatti, se è vero che sono state influenzate dalle regioni limitrofe, hanno tuttavia assunto una loro tipicità ed una tradizione che tende comunque a differenziare spesso anche piatti con lo stesso nome dalle elaborazioni delle regioni d'origine.
    La gastronomia marchigiana nel suo complesso è comunque caratterizzata da una cucina robusta, non mancano le carni ed in particolare la cacciagione, sempre attenta ai sapori ed in grado di ben rappresentare quelle commistione unica fra mare e collina che rappresenta la caratteristica di tale regione.
    Sotto questo aspetto la cucina di questa regione risulta varia, perché influenzata anche dalle caratteristiche geografiche di una regione che tiene insieme, in una simbiosi particolare, mare e collina.


    Antipasti
    Non possono ovviamente mancare i salumi tipici, i formaggi, fra i quali primeggia sicuramente il pecorino fresco che rappresenta sicuramente uno degli elementi fondamentali della gastronomia marchigiana, con caratteristiche che variano da una località all'altra; famoso è sicuramente il pecorino dei Monti Sibillini, formaggio aromatizzato con varie erbe aromatiche (dal serpillo alla maggiorana, al basilico, ai germogli di rovo, con l'aggiunta inoltre di chiodi di garofano, noce moscata, pepe e olio).
    A riprova di come tale formaggio sia profondamente legato con le tradizioni culinarie di questa regione , ricordiamo come esso sia il protagonista di una dei più antichi giochi della regione: il gioco della ruzzola, gioco a squadre che consiste essenzialmente nel far rotolare, lungo la strada una forma di pecorino stagionata; vince la squadra che, in tre lanci, manda la forma di pecorino più lontano.

    "Lo salato" - prosciutto crudo, lonza, salame lardellato, "ciauscolo", "coppa di testa" e "mazzafegato", accompagnati da olive, carciofini, fave e pecorino.
    "Ciauscolo" - salame morbido preparato con i residui della lavorazione del maiale, polpa di spalla, prosciutto, lonza, pancetta, costata, con l'aggiunta di grasso macinato finemente, condito con sale, pepe, vino cotto e aglio, adatto ad essere spalmato su fette di pane, crostini e bruschette.
    "Coppa di testa" - insaccato preparato con le parti povere del maiale, la cartilagine, la cotenna, la lingua, il muso, gli orecchi, bollite, triturate, e insaporite con aglio, cannella, noce moscata, pepe nero, mandorle, noci e pistacchi.
    "Mazzafegato" - al tipico impasto del salame viene aggiunto fegato di maiale, altre interiora e condito con aglio, sale, pepe, buccia di arancia e vino cotto.
    "Olive strinate" - olive esposte al freddo dell'inverno, in sacchetti di tela, con sale grosso, per venti giorni al riparo dalla pioggia, conservate in barattolo sott'olio, servite con spicchi di arance e finocchio selvatico.
    "Calcioni al formaggio" - dischi pasta sfoglia ripieni di formaggio pecorino fresco e secco, uova, limone grattugiato, sale, pennellati con tuorlo d'uovo e cotti al forno.
    "Pizza co li sgrisci" - pasta di pane con grasselli di maiale, residui della fusione dello strutto, pepe e lievito di birra.
    "Pizza co lo cacio" - pasta di pane, lievito di birra, uova, latte e ricotta di capra, pezzetti di pecorino fresco, emmenthal, pepe, a forma di panettone e pennellato con tuorlo d'uovo.
    "Frittelle di polenta" - polenta di mais fredda, farina di grano, sale, fritte nello strutto o nell'olio


    Primi piatti
    La pastasciutta é nata é risaputo, nelle cucine contadine, ma il consumatore di oggi ritiene che la pasta di casa sia quella composta di farina, acqua e uova, lavorata a mano e tagliata di solito, in più o meno strette striscie chiamate a seconda dei luoghi e delle misure: tagiatelle, tagliolini, pappardelle, fettuccine, chitarrine; lasagne, pinciarelli.
    Impastati comunemente con le uova, essi trovavano nei più svariati condimenti l'esaltazione della bontà e dell'impasto, ma nelle famiglie povere le uova non erano sempre presenti così come non ora facile disporre esclusivamente di farina di grano, si ovviava così alla mancanza unendo a picoli quantitativi della prima più ingenti quantità di farina di granoturco ben setacciata, nascono così li "tajulì pilusi", tipica pasta nelle case di campagna e della cucina marchigiana. In tutto e per tutto identici à loro parenti ricchi mancavano dell'apporto nutritivo e il gusto dell'uovo, in più data la composizione estremamente semplice e la mancanza di coesione dell'impasto, questi in cottura cedevano leggermente la farina di grano dando così luogo alla formazione di quel velo esterno, tipico, che li rendeva leggermente vellutati da qui "pilusi". Questo tipo di pasta molto in uso fino ai primi decenni del nostro secolo era appannaggio quasi esclusivo delle famiglie particolarmente disagiate, del cosiddetto sottoproletariato, essa era quindi adoperata più per riempire che per nutrire anche se, lo vedremo, si cercava di valorizzarla con il condimento.
    Nell'entroterra si adoperava strutto di maiale e salsa di pomodoro piuttosto lenta sul mare era più comune ed economico ultimare cio che la pesca offriva, non si tiravano certamente dei gustosi court-buillons di pesce e crostacei ma si adoperavano, e con successo, i granchi che, facili da catturare e in quantità considerevoli venivano lessali in acqua con aggiunta di pomodoro o semplicemente in bianco e, senz'altro condimento all'infuori del sale; si versavano sui tajuli' appena cotti. Ne risultava un piatto estrernamente economico, molto semplice, ma di sapore gustoso in quanto il granchio, fra i crostacei é quello che più cede sapore in cottura non ha bisogno di eccessive e costose manipolazioni. Sono sicuramente da menzionare gli strozzapreti, i passatelli in brodo di cappone.

    Il piatto più caratteristico della cucina maceratese è rappresentato dai "Vincisgrassi". Di questo piatto, si è molto parlato nell'intento di scoprire le sue vere origini e le prove della sua nascita in terra marchigiana. Secondo l'ipotesi più antica, la parola vincisgrassi deriva da Windsch Graetz (oppure Gratz) nome di un generale austriaco che, nel 1799, durante le guerre napoleoniche, era di stanza con le sue truppe ad Ancona. Il suo cuoco personale che aveva ideato la ricetta, gliela dedicò e la fama di una minestra asciutta tanto appetitosa, si estese ben presto con i precetti della preparazione. Vari scrittori sono però concordi nel sostenere che i vincisgrassi furono sì un piatto preferito dal generale austriaco, ma che erano già stati inventati. Ciò sarebbe provato dal fatto che, in un manuale gastronomico del 1784, "Il Cuoco Maceratese" di Antonio Nebbia, era riportata la ricetta di una salsa per pringsgras già in uso nel maceratese. E' un fatto, comunque, che dagli inizi del 1800 in poi, i vincisgrassi hanno trovato sempre migliore accoglienza non solo a tavola, ma anche nelle scampagnate di fine settimana o nelle colazioni all'aperto. Gli ingredienti della ricetta originale sono: prosciutto crudo, tartufo, parmigiano e una salsa a base di latte e farina, con i quali si condiscono gli strati di pasta all'uovo.
    "Gnocchi co la papera" - gnocchi di patate con l'anatra in umido.
    "Calcioni di magro" - ravioli grandi, fatti a mano ripieni di ricotta di pecora e noce moscata, con sugo di carne profumato alla maggiorana.
    "Boccolotti" - maccheroni conditi con sapa e noci.
    "Tajulì pilusi" - tagliatelle impastate con farina e acqua, senza uova.
    "Quadrucci" - pasta all'uovo per minestra fatta in casa, tagliata a quadratini, in brodo di gallina.
    "Straccetti" - minestra fatta con pane, uova, parmigiano grattugiato, in brodo di carne.
    "Pappardelle" -ccetti" - minestra fatta con pane, uova, parmigiano grattugiato, in brodo di carne.
    tagliatelleall'uovo fatte a mano, al sugo di rigaglie o cacciagione.
    "Pinciarelli" - questo tipo di pasta era già conosciuto dal XIX^ secolo ed aveva la forma di grossi vermicelli ottenuti da una parte dell'impasto per il pane, erano la pasta dei giorni feriali, quella all'uovo era della domenica, ed era condita con sugo al pomodoro e pecorino.


    Piatti unici
    "Frascarelli" - simile alla polenta ma con farina di grano tenero, conditi con salsicce, carciofini, pomodori. Esiste una variante che include il riso tra gli ingredienti, il piatto allora viene detto "riso corgo".
    "Cicerù" - purè di ceci e mosto.
    "Polenta co la sapa" - mosto cotto e concentrato, polenta con costarelle e salsicce.
    "Le fette" - pane raffermo bagnato e cotto assieme a brodo vegetale, uova, formaggio.
    "Fagioli co le cotiche" - fagioli borlotti con le cotenne di maiale, passata di pomodori aglio e cipolla.
    "Zuppa di cicerchia" - legume che assomiglia al cece, cotto con pancetta, salsa di pomodoro, servita con crostini di pane e olio extravergine di oliva.
    "Minestra di ceci e costine di maiale" - preparata in una pentola di coccio e accompagnata con fette di pane tostato e pecorino grattugiato.


    Secondi piatti
    La nostra cucina di terra è robusta, adatta all'utilizzo della carne, rinomata tra le carni bovine, è la razza marchigiana, più popolare è la porchetta, preparata con maialini di latte, senza dimenticare, naturalmente le ricette a base di carni di selvaggina lepre e cinghiale e le carni bianche, fra le quali primeggiano sicuramente l'oca ed il coniglio, sovente preparato in porchetta.

    "Le cucciole" - lumache di terra, cotte in padella con pomodoro e finocchio selvatico, vengono raccolte dopo la pioggia e tenute sotto la "crina", a spurgare, per almeno 3 settimane.
    "Pistacoppo" - piccione ripieno di rigaglie, pane grattugiato e pecorino, cotto al forno.
    Fegatini di maiale - avvolti nella retina di maiale con foglie di alloro, arrostiti alla brace.
    "Coratella di agnello" - è la parte degli ovini costituita dall'esofago, dalla trachea, dal cuore, dal fegato e dai polmoni che vengono tolti dalla carcassa ancora uniti tra loro, cucinati in un tegame di terracotta con cipolla e alloro, rosmarino, pepe e limone.
    Coniglio in porchetta - coniglio ripieno di cotiche di maiale, rigaglie di coniglio e finocchio selvatico, cotto al forno.
    Oca arrosto - piatto tipico del tempo della mietitura.
    Pollo in potacchio o alla maceratese - pollo novello cotto in padella a pezzi, con salsa di pomodoro, cipolla, vino bianco, pepe, aglio e rosmarino.
    "Sanguinaccio" - sangue di maiale in pezzi, buccia di arancia, alloro, pepe, cipolla, rosmarino, vino, cucinato in padella.
    "Porchetta" - porchetta di maialino da latte di kg.10, finocchio fresco selvatico, noce moscata, rosmarino, aglio, vino bianco, cotta alla brace.


    Contorni

    Le verdure, rivestono, anch'esse un ruolo di primo piano, dalle verdure gratinate, ripiene di mollica di pane aglio e prezzemolo, fra gli ortaggi ricordiamo in particolare i carciofi di Montelupone, i cardi della Valle del Trodica, i cavolfiori di Fano e di Jesi, i piselli di Potenza Picena, le fave di Ostra, le lenticchie di Visso.

    "Carciofi alla giudea" - carciofi fritti.
    "Parmigiana di gobbi" - a base di cardi bolliti poi pastellati e fritti, poi passati al forno con besciamella e parmigiano.
    "Fava ngreccia" - fava secca messa a bagno in acqua la sera precedente la cottura, poi lessata, quindi condita con alici, capperi, prezzemolo, aglio, olio e aceto.


    Dolci
    In questa terra tipicamente agricola è sempre esistita una cucina povera ma genuina e gustosa, nella quale però poco posto trovano i dolci, essi tuttavia, onoravano la mensa nelle feste religiose, a Carnevale, nelle ricorrenze particolari legate alle stagioni, in occasione delle quali ci si poteva permettere qualcosa di speciale, attingendo comunque sempre a quello che la campagna offriva in quell'epoca. I dolci sono sobri frutto della prudenza e della misura, in un equilibrio che evita i sapori eccessivi, di solito contengono poco zucchero, proprio perché un tempo era un bene prezioso da usare con parsimonia ed era lasciato al miele il compito di arricchire i dolci.

    "Pupi" - pasta di pane già lievitata, uova, mandorle e burro.
    "Piconi" - pasticcino di pasta frolla ripieno di ricotta e mandorle tritate.
    "Cavallucci" - sfoglia arrotolata a forma di ferro di cavallo, ripiena di noci, nocciole, mandorle, sapa, zucchero, pangrattato, cognac, amaretto, marsala, mistrà, caffè, buccia grattugiata di limone, ricoperto di alchermes e zucchero.
    "Sughitti" - preparati con farina di granoturco bollita nel mosto d'uva con noci.
    "Zeppole di San Giuseppe" - ciambelline fritte, guarnite con crema o panna e ciliegie.
    "Ciambellone" - a forma di filone di pane o ciambella, con latte, uova e mistrà, decorato prima della cottura con granella di zucchero, o pennellato dopo la cottura con tuorlo di uovo, servito con crema all'uovo o inzuppato nel vino cotto.
    "Frostengo" - dolce di Natale a base di farina integrale, con lievito di birra, olio di oliva, uva passa, fichi secchi, pinoli, mandorle, cedri canditi, scorza di limone e d'arancia, noci, miele, cacao, rhum, cannella, caffè, mosto cotto, vino bianco secco.
    "Pannociato" - pasta di pane, lievito di birra, noci, uva passa, frutta candita, fichi secchi, latte, uova, pecorino e pepe.
    "Fave dei morti" - con mandorle, cannella, tipo amaretti.
    "Filone di mosto" - ciambelle, biscotti, preparati nel periodo della vendemmia con farina bianca semi di anice, mosto d'uva e lievito.
    "Pizza dolce di Pasqua" - detta anche "recina", pasta di pane a forma di panettone, con lievito di birra, olio, uova, uva passa e cedri canditi, decorata con una glassa di albume e zucchero, aromatizzata al limone, grani di zucchero colorato e confettini d'argento.
    "Salamino di fichi" - il cui nome deriva dalla tipica forma di salamino che viene data a questo dolce il cui impasto è a base di anice, mosto, fichi secchi, mandorle e noci.
    "Frittelle dolci di polenta" - polenta di mais fredda, farina di grano, zucchero, fritte nello strutto o nell'olio.
    Nel periodo di carnevale: "scroccafusi" - "sflappe" - "cicerchiata" e "castagnole" - fritti nello strutto di maiale.

    "Cotognata" - confettura di mele cotogne e mosto.


    Vini e liquori

    Colli Maceratesi DOC - Bianco, vitigni maceratino 70%, con eventuale aggiunta di Trebbiano Toscano, Verdicchio, Chardonnay, I.Bruni 54, Pecorino, Sauvignon, Grechetto e Malvasia Toscana, solo per la provincia di Macerata, fino ad un massimo del 30%. Colore giallo paglierino tenue, a volte sfumato di verde, testimonia vivace giovinezza. Colli Maceratesi Ribona, può assumere riflessi dorati con profumi che richiamano la frutta matura ed un gusto più morbido e complesso ed acidità leggermente più bassa.
    Rosso - vitigno almeno il 50% di Sangiovese e Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Ciliegiolo, Lacrima, Merlot, Montepulciano, fino ad un massimo del 50%. Colore rosso-rubino con tendenza a vivacizzare nel primo anno e ad evolvere verso il granato con la maturazione. Profumo vinoso da giovane con tendenza all'etereo con sentori di fruttato e floreale in fase di maturità. Gusto, risulta secco, giustamente tannico e di buona struttura, con la maturazione tende ad ammorbidire e ad assumere spiccati sapori di frutta matura. Un vino da bere giovane, fresco e vivace, delicato nei profumi e nella continuità gustativa, abbastanza morbido, si offre intorno ai 10°C in qualsiasi stagione. Si propone per esaltare il gusto di molluschi bivalvi crudi, a tendenza dolce e delicatamente grassi (vongole di varietà diverse, arselle, ostrica "aedulis Adriatica", ecc.), a risi e minestre con salse bianche ricavate da molluschi, crostacei, pesci, vegetali ed altre componenti delicate. Si accosta bene a carni di pesce (nasello, melù, passera ecc.) o piccoli molluschi cefalopodi (seppioline, calamaretti, moscardini), a carni bianche di animali di bassa corte in elaborazione culinarie e cotture delicatissime.

    Verdicchio di Matelica DOC - vitigno Verdicchio, per un minimo dell'85%, possono concorrere alla produzione di questo vino anche uve provenienti dai vitigni a bacca bianca rispettivamente autorizzati nelle provincie di coltivazione, purché in misura non superiore al 15%. Colore paglierino tenue con riflessi verdognoli, tende al dorato con la maturazione, volge all'ambrato nel Passito. Profumo, fragranza fresca e persistente di frutta, non completamente matura, fiori degli altipiani di prato, di sottobosco. Nel Passito diventa etereo ed intenso, lasciando emergere nella maturità odori fruttati tendenti al floreale. Gusto secco, morbido e suadente al primo impatto, volge al fresco con delicata tendenza amara e pseudotermico calore. Ripropone emanazioni fruttato-floreali molto fresche, fini, eleganti, armonico e vellutato nel passito. E' un vino dai molteplici accostamenti anche se raggiunge i livelli più elevati con piatti di pesce, ottimo con antipasti crudi (molluschi bivalvi di varia specie evitando quelli a gusto fosfo-iodico), con pesci dalle carni saporite e salsate, primi piatti di pesce, lasagne e risotti di mare, quando è più maturo si abbina perfettamente con la sogliola dell'Adriatico e addirittura con lo stoccafisso all'anconetana. Il profumo persistente e fragrante, l'armonia delle componenti, gli consentono numerosissimi altri abbinamenti: con prosciutto di Carpegna, ciauscolo, salame di Fabriano, coppa di testa saporita e fragrante di spezie, carni bianche.

    Rosso Piceno DOC - vitigni Sangiovese dal 30 al 50% e Montepulciano dal 35 al 70% possono essere aggiunte, fino al massimo del 15%, tutte le altre uve non aromatiche a bacca rossa, raccomandate e/o autorizzate nelle rispettive province di coltivazione. Oltre alla già citata tipologia "Superiore", sono previste le tipologie "Novello" e "Sangiovese". Colore rosso rubino con sfumature violacee che si attenuano nel corso dell'anno. La maturazione vivacizza il colore rubino che, al terzo anno, tende all'aranciato. Profumo, vinoso-fruttato che evolve al floreale, all'etereo. Gusto secco, sapido, giustamente tannico, di corpo, la maturazione conferisce morbidezza, maggiore equilibrio, arricchimento di profumi sottili e fini, la persistenza gustativa ricorda sapori di frutta (prugne, carrube), fiori rossi appassiti, radice di liquirizia. Graditi gli accostamenti con minestre calde o tiepide di notevole struttura (fagioli, ceci, lenticchie, minestroni, polente, paste fresche farcite, ecc.) e salumi. Ottimo con secondi di carne, arrosti a fuoco diretto, spiedo e casseruola, si sposa bene con zuppe di pesce con pomodori e peperoni rossi e verdi, con fritture di pesce con profumi e strutture notevoli. La tipologia "Superiore" si accorda meglio con la sapidità e la succulenza dei cibi.

    Esino DOC - Bianco - minimo 50% di Verdicchio, colore paglierino tenue.
    Rosso - vitigni Sangiovese e Montepulciano, da soli o congiuntamente, per almeno il 60%, colore rubino, profumo intenso, gusto asciutto. E' essere considerato un vino a tutto pasto, nel senso che essendo sia bianco che rosso, oltre che frizzante e novello, la gamma degli abbinamenti è completa, non va considerato un vino inferiore rispetto ai suoi "capostipiti", la sua gradazione più bassa gli conferisce freschezza, armonia, sapidità.

    Vernaccia di Serrapetrona DOCG - vitigno Vernaccia nera, i vitigni a bacca rossa autorizzati per la provincia di Macerata possono partecipare da soli o congiuntamente fino ad un massimo del 15%. Aspetto: spuma persistente a grana fine, colore dal granato al rubino, profumo vinoso, gusto da secco a dolce, con fondo gradevolmente amarognolo.

    Vino cotto - vitigno in prevalenza Trebbiano toscano, ottenuto dalla bollitura del mosto di uve, dalla gradazione alcolica elevata, secco e dolce, colore variabile nelle tonalità dell'ambra, aroma intenso, gusto dolce o asciutto, ricco di retrogusti fruttati e sapidi.

    Vino di visciole - mosto di Sangiovese e Montepulciano, con visciole e zucchero fermentate, ha un colore rosso rubino, gradevolmente aromatico, dall'inconfondibile e gradevole gusto dolce acidulo.

    Sapa - mosto d'uva, al quale si aggiungono varie essenze.

    Anice secco - liquore bianco trasparente, dall'intenso aroma d'anice e dal gusto dolce.

    "A morte la minestra"

    Metti, o canora musa, in moto l'Elicona
    e la tua cetra cinga d'alloro una corona.
    Non già d'Eroi tu devi, o degli Dei cantare
    ma solo la Minestra d'ingiurie caricare.
    Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l'oggetto,
    e dirti abominevole mi porta gran diletto.

    O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!
    Cibo negletto e vile, degno d'umil villano!
    Si dice, che resusciti, quando sei buona, i morti;
    ma il diletto è degno d'uomini invero poco accorti!

    Or dunque esser bisogna morti per goder poi
    di questi benefici, che sol si dicon tuoi?
    Non v'è niente pei vivi? Si! Mi risponde ognuno;
    or via su me lo mostri, se puote qualcheduno;
    ma zitti! Che incomincia furioso un tale a dire;
    ma presto restiamo attenti, e cheti per sentire:
    "Chi potrà dire vile un cibo delicato,
    che spesso è il sol ristoro di un povero malato?"

    E' ver, ma chi desideri, grazie al cielo, esser sano
    deve lasciar tal cibo a un povero malsano!
    Piccola seccatura vi sembra ogni mattina
    dover trangugiare la "cara minestrina"?

    Giacomo Leopardi

  10. Posted 30/12/2010, 18:51

    San Severino Marche



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    San Severino Marche è un comune italiano di 13.217 abitanti della provincia di Macerata nelle Marche.

    San Severino Marche sorge 50 km a ovest del mare Adriatico e dista circa 50 km dall'Appennino umbro-marchigiano ed è attraversato dal fiume Potenza e alcuni suoi affluenti.

    Storia

    I resti più antichi di presenza umana a San Severino risalgono al paleolitico inferiore e provengono dalla frazione di Stigliano; altri reperti, rinvenuti in varie località del territorio comunale, documentano una continuità di insediamento per tutta l'epoca preistorica. La prima civiltà significativa di cui rimangono tracce è quella dei Piceni, concentrata nelle vicinanze di Pitino, circa due chilometri a nord-est del centro urbano attuale: successive campagne di scavo, dal 1932 a oggi, hanno portato alla luce una zona residenziale, sulla sommità di un colle, e tre necropoli nelle vicinanze, il tutto databile tra il VII e il V secolo a.C.

    Dopo la conquista romana del Piceno, nel 268 a.C., nel vicino fondovalle sorge l'abitato di Septempeda (nome dall'etimo incerto), che diverrà municipio nel I secolo a.C. Della città romana sono stati individuati in tempi successivi resti di mura con un complesso termale, un incrocio stradale, tracce di domus private, una fornace e un sepolcreto. Da alcune iscrizioni, si sa che doveva esistere un tempio dedicato alla dea Feronia, divinità di origine sabina a cui si consacravano i liberti.

    Il municipio romano andò in rovina in epoca alto-medievale, e un nuovo nucleo urbano sorse in posizione più protetta sul colle detto Monte Nero, che domina l'abitato odierno; la città ricostruita fu battezzata con il nome di Severino, un santo locale di cui si hanno poche notizie certe, vescovo di Septempeda a metà del VI secolo. Le testimonianze storiche attestano che la città antica continuò a sopravvivere per tutto il Basso Medioevo, smentendo la leggenda secondo cui sarebbe stata distrutta da Totila nel 545 d.C., durante la guerra greco-gotica.

    Quanto al nuovo centro, il primo documento credibile della sua esistenza è del 944, anno di probabile fondazione dell'antica cattedrale. Libero comune intorno al 1170, parteggiò costantemente per i Ghibellini; nel corso del Duecento si ingrandì fino all'estensione attuale, in parte per via militare e in parte acquistando i castelli circostanti dai precedenti proprietari.

    Il Trecento è caratterizzato dalla signoria degli Smeducci, famiglia locale di capitani di ventura, che mantennero con una certa continuità l'egemonia sulla città, finché nel 1426 il Papa li esiliò definitivamente. Tendenzialmente guelfi, ma spesso opportunisti, gli Smeducci riuscirono quasi sempre invisi alla popolazione, che si ribellò al loro dominio in più di una circostanza, ma seppero svolgere anche un ruolo di mecenati in quello che rimane il periodo di massima fioritura artistica di San Severino.

    Dopo il breve governo di Francesco Sforza (1433-45), il comune passa sotto il controllo diretto dello Stato della Chiesa; i secoli successivi registrano un sostanziale declino economico e culturale. Nel 1586 San Severino ottiene il titolo di città e quello di diocesi, mantenuto per quattrocento anni esatti. Nel frattempo, cessate le esigenze di difesa, il centro abitato si è spostato quasi del tutto dal colle a fondovalle, attorno alla vecchia piazza del mercato; fra la metà del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, anche i simboli del potere civile e religioso (Palazzo comunale, Duomo, vescovato) lasciano quella che ormai è una contrada isolata.

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    Gli abitanti sono circa 13 mila: il loro nome è sanseverinati oppure anche settempedani per il fatto che la città anticamente si chiamava Septempeda (municipio romano nel I secolo a. C.).

    Di quel nucleo abitato oggi restano soltanto poche rovine, recuperate nell’area archeologica, in località Pieve, lungo la strada “361 Septempedana” che unisce Ancona e Nocera Umbra.

    L’insediamento più antico rimane quello di Castello, in cima al monte Nero, da cui si gode una vista impareggiabile sulle colline circostanti coronate di piccole frazioni.

    Dall’originario nucleo, ben visibile a distanza per la torre comunale (alta 40 metri e lievemente inclinata) e per il Duomo vecchio con il suo poderoso campanile, si estende il centro storico fino a valle. Il fulcro del tessuto urbano del borgo è costituito dall’ampia e armoniosa Piazza del Popolo.

    Lo storico locale G. Talpa (nel 1738) così la descriveva: “… di figura ovata e circondata da portici che la rendono non solo meravigliosamente vaga e bella ma di gran comodo al popolo per negoziare, per esservi botteghe d’arteri, ed alla nobiltà serve anco di coperto passeggio”.

    Nulla è da aggiungere perché l’occhio del turista può ammirarla in tutta la sua scenografica monumentalità.

    Palazzo Comunale



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    Eretto nel 1764 su disegno di Clemente Orlandi, ha la facciata interamente in laterizio. Ai lati delle due colonne che sostengono il balcone, si trovano i busti di due illustri cittadini: l'anatomista Eustachio e lo scultore Ercole Rosa.


    Piazza del Popolo



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    Ampia e armoniosa, la piazza del Popolo è il fulcro della città, ha una caratteristica forma allungata ed ellittica ed è circondata da portici. L´impianto planimetrico e le sue dimensioni rimandano all´antica funzione di luogo di mercato, ma la sua attuale configurazione è il risultato di interventi architettonici che vanno dagli inizi del ´400 alla fine dell´800. Si affacciano sulla piazza, fra gli altri edifici, il palazzo comunale, il teatro Feronia e la chiesa di San Giuseppe.


    Villa Collio

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    Stile Neoclassico
    Proprietá privata





    E' un bellissimo esempio di villa neoclassica con sala centrale a pianta ottogonale e ampia gradinata. Fu fatta costruire nel 1812 da Giovan Battista Collio su progetto di Giuseppe Lucatelli, che ne curò anche la decorazione interna.

    Castello di Aliforni

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    (Località Aliforni)
    dista circa 11 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII sec.
    Stile Medievale

    Il castello fu venduto nel 1257 al Comune di San Severino da Guglielmo, vescovo di Camerino. All´inizio del XV secolo il Castrum Alifurni, messo sotto assedio dal Rettore della Marca, venne parzialmente distrutto. Dell´impianto originario resta la quadrata torre di vedetta (m.23-25), in pietra arenaria, dove sono ancora visibili i beccatelli che sostenevano la piattaforma merlata.
    Intorno alla torre permangono i resti della cinta muraria, il cui perimetro misurava circa 240 metri, e dell´abitato medioevale di cui si colgono evidenti segni nelle basse porte, in qualche archivolto in arenaria o in cotto e nei gradini scavati nella roccia. Nei pressi sorge la Chiesa di S. Maria Annunziata (XIV sec.), ampliata nel XIX secolo su progetto di Ireneo Aleandri, che conserva un´Annunciazione di Filippo Bigioli e un delicato affresco attribuito a Lorenzo Salimbeni.

    Castello di Carpignano

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    (Località Carpignano)
    dista circa 14 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII � XV sec.
    Stile Medievale

    Il Castello di Carpignano, già esistente all´inizio dell´XI secolo come dimora di qualche signorotto del tempo, nel XIII secolo assolveva a funzioni di controllo e di prima difesa proprio nella zona di confine tra i feudi di San Severino e Tolentino spesso, se non sempre, in lotta tra di loro per il possesso dei contigui territori.
    Entrò definitivamente in possesso di San Severino nel 1471 e ad opera di Pier Martino Cenci, console della città, fu ampliato e trasformato per poter competere contro le prime artiglierie da fuoco come è testimoniato dai resti della poderosa cinta muraria che originariamente misurava un perimetro di circa 200 metri e dei tre torrioni semicircolari angolari. Sono ancora in piedi la porta di accesso al castello con arco a tutto sesto e la torre maestra (m. 25) munita del cassero (m. 12) a base pentagonale, a cui è addossata la piccola chiesa. Su una delle piccole case costruite all´interno delle mura, con le pietre ricavate dai crolli dovuti al trascorrere del tempo, è possibile notare uno stemma in pietra, infisso a rovescio, su cui è scolpito il "leone rampante", emblema della fazione guelfa.

    Castello di Colleluce

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    (Località Colleluce)
    dista circa 7 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII sec.
    Stile Medievale

    L´importanza strategica del Castello di Colleluce è dovuta alla sua posizione tra la valle del Potenza e del Chienti, strada percorsa nel Medioevo dai vari eserciti che minacciavano alternativamente le signorie dei luoghi. L´antico insediamento fu costruito con una doppia cinta muraria e la torre di avvistamento, a guardia e difesa del territorio di San Severino. Nel 1240 l´imperatore Federico II, in lotta contro il papato, lo devastò e incendiò. Ricostruito venne poi quasi completamente distrutto dall´esercito del re di Napoli, Alfonso V d´Aragona.
    Oggi, anche a causa dell´impiego delle pietre come materiale da costruzione, rimangono resti della cinta muraria e l´aspetto di luogo fortificato. La tradizione vuole che il toponimo abbia origine da "Lucus", il bosco sacro che circondava il tempio pagano sulle cui rovine fu costruito l´insediamento medioevale.

    Castello di Elcito

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    (Località Elcito)
    (dista circa 22 Km dal centro di San Severino Marche)
    Data costruzione XIII sec.
    Stile Medievale

    Il Castello di Elcito (fitonimo da "leccio"), abbarbicato su un contrafforte roccioso della catena del Sanvicino a più di 800 m. di altitudine, con le grigie abitazioni dei montanari che fanno corpo con i rocciosi balzi dei circostanti dirupi, conserva pochi segni del castello medievale, qualche traccia di mura e, nel lato nord una delle porte di accesso alla originaria struttura fortificata, costruita ad arco in pietra corniola.
    Pur non restando alcuna traccia della torre, il paesino conserva l´aspetto di un castello grazie alla sua posizione tra le alte rocce che costituiscono la sua naturale difesa. Si tratta di un struttura medievale fortificata. Eretto a salvaguardia dell´Abazia benedettina di S. Maria di Valfucina (IX sec.) e come residenza dell´Abate, nel 1298 fu venduto al Comune di San Severino e, ancora oggi, è uno dei luoghi più suggestivi ed aspri del territorio severinate. A circa due chilometri l´altopiano del Canfaito (da "campo di faggi") con le sue secolari faggete.

    Castello di Isola

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    (Località Isola)
    dista circa 18 km. dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII � XIV sec.
    Stile Medievale

    Feudo dei conti Gentili di Rovellone, nel 1305 il castello fu venduto al Comune di San Severino per 8.000 scudi. Notevole l´impianto urbanistico medioevale di cui rimangono pochi resti delle mura e degli edifici circostanti, mentre ancora quasi integra resta la torre maestra in grossi blocchi in pietra arenaria (m. 25), che presenta all´interno interessanti elementi architettonici.
    Accanto alla torre si nota qualche vecchio edificio con porte e finestre ad arco a tutto sesto. Dentro le mura del castello si trova la Chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio Martire, il cui ingresso principale è insolitamente situato sotto un grande arco che dà accesso all´abitato. All´interno una serie di pregevoli affreschi eseguiti da Sebastiano Ghezzi nel 1604.


    Castello di Pitino

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    (Località Pitino)
    dista circa 13 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII sec
    Stile Medievale

    Sorge sull´ultima formazione collinare alla sinistra della valle del Potenza, visibile da larga parte del territorio provinciale. Era il Castello più grande e strategicamente più importante del sistema difensivo di San Severino. Si vuole fondato sulla sommità del colle omonimo dal nobile romano Marco Petilio al tempo delle invasioni barbariche.
    Del castello, riedificato nel XIII sec., restano ancora oggi imponenti resti: la porta di accesso in pietra arenaria, notevoli tratti della cinta muraria che si estendeva per un perimetro di 400 metri in cui si alternavano i superstiti, rettangolari torrioni. Dalla struttura si erge l´imponente mastio (23 m.) senza aperture, al quale si accedeva solo attraverso un sistema di cunicoli sotterranei ora sigillati. All´interno del perimetro murario si trovano due edifici sacri, uno più piccolo quattro-cinquecentesco con coevi affreschi votivi, e la chiesa di S. Antonio ricostruita intorno al XIX sec. con il caratteristico campanile a cupolino. Fu qui che in epoca pre-romana sorgeva uno dei più importanti abitati piceni che creò ai piedi del colle le tre necropoli di Monte Penna, Frustellano e Ponte di Pitino i cui preziosi corredi funerari sono divisi tra il Museo Archeologico di San Severino e quello Nazionale di Ancona.

    Castello di Serralta e Rocca di Monte Acuto

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    (Località Serralta)
    dista circa 11 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XIII sec.
    Stile Medievale

    Andando da San Severino verso Cingoli, alla sommità di un´altura, varcata l´originaria porta del Castello si accede all´antico abitato di Serralta, che conserva resti della cinta muraria e della torre incorporata nella piccola chiesa antistante la suggestiva piazzetta. Nelle vicinanze si scorgono i ruderi della Rocca di Monte Acuto e le grotte di S. Sperandia, dove visse in penitenza la santa di Gubbio.

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    Ruderi della rocca di Monte Acuto (XIII sec.), nei pressi le grotte di S. Sperandia, dove visse in penitenza Sperandia di Gubbio (XIII sec.).

    Rocca di Schito o Rocchetta

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    (Località Rocchetta)
    dista circa 9 Km dal centro di San Severino Marche
    Data costruzione XV sec.
    Stile Medievale

    Costruita su ruderi di età romana, nel 1415 la Rocha Schiti era un complesso fortificato di importanza strategica in un passaggio obbligato sul passaggio vallivo che congiungeva Tolentino a Treia. Nonostante la quasi completa ricostruzione, con il rifacimento anche delle merlatura a coda di rondine, restano consistenti elementi architettonici come il fossato e due campate del ponte. Delle due torri originarie, è stata ricostruita quella di sud-est. Il complesso è oggi proprietà privata, adibito a casa colonica.

    Torre civica

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    salendo al Castello, dista circa 2 km da Piazza del Popolo
    Data costruzione XIII secolo
    Stile Medievale

    Il piazzale degli Smeducci, sulla sommità del Monte Nero, è dominato dall´alta (m. 40) e inclinata Torre civica, eretta nel XIII secolo con funzioni di avvistamento, di difesa e di segnalazione alle altre torri dei castelli del territorio comunale.
    Davano accesso alla torre due piccole porte che conservano l´antica forma con il loro doppio arco a sesto acuto. Circa a metà della Torre si notano due bassorilievi scolpiti in pietra; il primo dall´alto raffigura un "morso di cavallo" e potrebbe rappresentare l´emblema di uno dei podestà, ma la tradizione lo attribuisce alla dispotica signoria degli Smeducci che, al ritorno da una delle cacciate subite, lo fece apporre per mostrare il trattamento che sarebbe stato riservato al popolo ribelle. Più in basso il bassorilievo che raffigura un "leone passante", simbolo dei ghibellini per i quali parteggiò San Severino in perenne lotta con la guelfa Camerino. A destra della Torre si notano scarsi resti dell´antico Palazzo dei Consoli. Le mura urbane completavano il sistema difensivo del "Castello" che oggi, a seguito di un attento recupero, sono percorribili per un lungo tratto come al tempo del medioevo.

    Torre dell'Orologio

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    Piazza del Popolo



    Fu eretta su disegno di Ireneo Aleandri nel sec. XIX. Si impone come scenografico elemento architettonico a capo della Piazza, sottolineandone l'andamento fusiforme. Sul lato sinistro fu riedificata nelle forme attuali l'antica Fonte della Misericordia.

    Abbazia di Val Fucina

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    (Loc.tà Elcito)
    Data costruzione X-XI Secolo


    Abbazia benedettina del X-XI secolo, particolarmente interessante la cripta ornata di capitelli a volte.


    Chiesa della Maestà

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    (Loc.tà Parolito)


    Edificata nel 1473 nel luogo di una Maestà, conserva l' originario portale in cotto con belle decorazioni floreali e i due piccoli portali laterali. All'interno si trovano pregevoli affreschi votivi, dipinti da Lorenzo D'Alessandro (XV sec.)


    Chiesa di S. Maria di Cesello


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    Costruita agli inizi del XV sec, è singolare dal punto di vista architettonico per il largo spiovente del tetto che protegge un affresco seicentesco.
    All'interno tutte le pareti sono rivestite da affreschi votivi (XV - XVII sec.). Altri interessanti affreschi quattrocenteschi sono da segnalare nella Chiesa di S. Maria di Valdiola (XIII sec.), nei pressi della vicina frazione di Chigiano.


    Chiesa di S. Maria di Valdiola

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    (Loc.tà Valdiola)



    La chiesa del XIII secolo è ricca di interessanti affreschi quattrocenteschi. É situata nei pressi della frazione di Chigiano.

    Chiesa di San Domenico

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    Costruita con l'annesso convento nella prima metà del XIII secolo, fu riedificata agli inizi del sec XIV e trasformata nelle forme attuali nel sec XVII. All'interno è conservata una pregevole tavola cinquecetesca di Bernardino di Mariotto.
    In sacrestia si possono ammirare resti di pregevoli affreschi dei fratelli Salimbeni. Nel Chiostro dell'annesso convento si trovano lunette affrescate, attribuite a Sebastiano Ghezzi e a Ludovico Lazzarelli (XVII sec.).

    Chiesa di San Lorenzo in Doliolo


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    Secondo la tradizione venne fondata nel VI secolo, ma la chiesa attuale risale al XII secolo e venne più volte rimaneggiata. Il trecentesco campanile costituisce la facciata dell'edificio, nella cripta vi sono resti di affreschi dei fratelli Salimbeni.
    Addossato al fianco sinistro della chiesa è il campanile, anch' esso in laterizi e coevo alla facciata, con la cella campanaria aperta in due grandi bifore sotto le quali corre una fascia di archetti. L' interno dopo i radicali rifacimenti del 1741 non conserva nulla dell' impianto originale; a seguito del terremoto sono inoltre stati asportati gli affreschi dei fratelli Salimbeni ( ora conservati nella Pinacoteca ) che un tempo ornavano la prima cappella a sinistra. Di interesse è il coro, intarsiato da Domenico Indivini e allievi.

    Chiesa di Sant'Agostino

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    La Chiesa, in origine dedicata a S. Maria Maddalena, fu assegnata nel XIII sec. agli Agostiniani. Rimaneggiata a più riprese, subì radicali restauri quando, nel 1827, divenne cattedrale. Interessante la facciata (XV sec.) in cui si nota il bel portale cuspidato in laterizio con tracce di affreschi di Lorenzo d'Alessandro; all'interno si trovano numerose opere.

    Chiesa di Santa Maria della Pieve

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    (Loc.tà Pieve)
    Stile Romanico

    Dell'originaria struttura romanica conserva l'abside e il fianco destro; nell'interno affreschi votivi del XIV-XV secolo. Intorno si estende la zona archeologica in cui sono stati riportati ala luce i resti della romana città di Septempeda.


    Duomo Antico

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    (Loc.tà Castello al Monte)
    Data costruzione Eretta forse verso la met� del X secolo e poi rifatta nel 1061

    Dedicata a S. Severino, fu la chiesa del primitivo Castello. La facciata in laterizi, degli inizi del XIV secolo, presenta un bel portale trecentesco, sopra il quale si presentano una graziosa edicoletta a tre archi trilobi e un occhio.


    Madonnetta di Gaglianvecchio

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    (Loc.tà di Gaglianvecchio)



    Già esistente nel XV sec. come Maestà, venne trasformata successivamente in Chiesa. Restaurata e ampliata nel 1853, conserva un affresco di Madonna con Bambino del XVI sec., probabile opera di scuola locale.


    Monastero delle Clarisse

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    Sulla destra della Torre comunale si allunga il muro di cinta del monastero delle Clarisse che termina in una bassa costruzione; è quanto resta del duecentesco Palazzo consolare.


    Santuario della Madonna dei Lumi



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    Via Madonna dei Lumi



    Fu edificato nel XVI sec. in seguito ad un fatto prodigioso, avvenuto nel 1584, di un grande e ripetuto scintillare di lumi nel luogo dove, su un pilastro, era dipinta l'immagine della Madonna. La costruzione, deve le forme attuali ai Barnabiti, che nel 1657 ebbero la custodia del Santuario, oggi affidato ai Cistercensi.
    La costruzione del primo piccolo tempio dedicato a Santa Maria dei Lumi fu iniziata nel 1586, ad opera dei Filippini, sul luogo dove nel gennaio del 1584 si era verificata l´apparizione di un ripetuto scintillare di "lumi" intorno ad una immagine della Madonna dipinta da Giangentile, figlio di Lorenzo d´Alessandro, su un pilone all´ingresso di un podere di un certo Luca di Ser Antonio. Nel 1601 i Barnabiti succedettero ai Filippini nel completamento e nella custodia dell´edificio. Si devono a loro le attuali forme del Santuario con la realizzazione della cupola ottagonale posta all´incrocio del braccio longitudinale con i due bracci laterali e con la costruzione del catino ottagonale. L´interno, a croce latina, presenta diverse cappelle riccamente affrescate e decorate tra cui quella in cui è venerata l´immagine della Beata Vergine Maria dei Lumi il cui altare è stato impreziosito da un rivestimento di pregiati marmi policromi e lapislazzuli. Numerosi gli architetti, i pittori, gli scultori che furono chiamati a decorare il Santuario tra cui Felice Damiani, Giulio Lazzarelli, Venanzio Bigioli, Gian Tommaso da Ripoli, Felice Torelli e G. Andrea Urbani. Nella cappella della Visitazione, la prima a sinistra dell´entrata, sono sistemate le urne con le spoglie dei beati Pellegrino da Falerone e Bentivoglio de Bonis da San Severino, entrambi tra i primi discepoli di san Francesco. Sul pilastro della cappella della Madonna una piccola lapide in marmo nero ricorda che qui è sepolta la mistica del 1500, Francesca Trigli dal Serrone, la cui vita santa consentì l´inizio del processo di beatificazione e con esso l´attribuzione del titolo di "venerabile serva di Dio". Dal 1901 il Santuario è affidato alla custodia dei monaci Cistercensi che già dalla metà del XVIII erano nella Chiesa di S. Lorenzo in Doliolo. Orario sante messe: festivo 9,30 - 11,30; feriale 16,00 (I) - 17,00 (A) - 18,00 (P-E). Le visite non sono consentite durante le celebrazioni liturgiche.

    Santuario di San Pacifico

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    Via San Pacifico Divini
    Data costruzione XII-XIV sec.



    Ampliata e restaurata più volte, conserva un antico portale a sesto acuto in laterizio, riccamente ornato con sculture di foglie e di animali.
    La chiesa primitiva di S. Maria sub monte "sotto il monte Aria" (XII sec.) con annesso convento retto dagli Agostiniani, passò nel XV secolo ai Frati minori osservanti, prendendo il titolo di S. Maria delle Grazie. Ampliata e restaurata più volte, dell´antico prospetto conserva il portale gotico in laterizio formato da otto colonnine su cui poggiano altrettanti archetti avvolti in sculture di foglie e fiori tra i quali sono accovacciati vari animali. Le forme attuali si devono ai rifacimenti voluti dal conte Severino Servanzi Collio che, a seguito della canonizzazione di Pacifico Divini (XVII sec.), nel 1842 finanziò i lavori per la chiesa che custodiva le spoglie del santo compatrono della città e del quale la chiesa francescana era destinata a diventare il santuario. Il tempio ebbe quindi una nuova facciata realizzata con il classico schema palladiano delle chiese veneziane su progetto dell´architetto Ireneo Aleandri e una rivisitazione degli interni e del campanile su disegni di Venanzio Bigioli. L´interno, a tre navate, presenta sulla destra la cappella con altare marmoreo ed arca del santo. Molte opere d´arte ornano il tempio tra cui, sul fondo, incorniciata da prospetto di altare barocco, una pregevole tela di Bernardino di Mariotto raffigurante la "Madonna e san Giovanni, genuflessi Maria Maddalena e san Bernardino". Il luogo è da sempre, per il culto di san Pacifico, meta di numerosi pellegrinaggi provenienti da tutta la penisola.

    Santuario di Santa Maria del Glorioso

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    (Loc.tà Glorioso)
    Via del Glorioso (SP 502 direzione Cingoli)
    Data costruzione XVI sec.
    Stile Rinascimentale

    Il santuario di Santa Maria del Glorioso, terminati i lavori di ristrutturazione post terremoto, torna ad accogliere opere d'arte e arredi sacri che la Sovrintendenza al patrimonio storico-artistico delle Marche ha restaurato e riportato al vecchio splendore.
    A seguito della lacrimazione di una statua in terracotta della Madonna della Pietà avvenuta il venerdì santo del 1519, fu dato l´avvio alla costruzione del Santuario di S. Maria del Glorioso, su progetto dell´architetto Rocco da Vicenza. Fino al 1860 la custodia della chiesa fu affidata ai domenicani; nel 1861 fu avocata dal Demanio che nel 1872 la cedette al Comune di San Severino. Costruita interamente a mattoni, ha la facciata di forma cuspidale. La porta principale è rettangolare con frontone acuto e intagli in travertino. La tribuna è sormontata da una cupola di forma ottagona rivestita con lastre di piombo che nel 1720 sostituirono la precedente copertura di tegole. Internamente la chiesa ha tre navate, una traversa e l´abside fiancheggiata da due vani rettangolari ad uso di cappelle. Le navate sono sostenute da otto colonne cilindriche alle quali corrispondono sedici mezze colonne che dividono le nicchie ove sono collocati gli altari laterali. I recenti restauri hanno riportato alla luce molti affreschi che tra Cinque e Seicento, durante la prima campagna decorativa del tempio, le famiglie nobili e le confraternite avevano commissionato ad artisti della scuola pittorica severinate. In fondo alla navata centrale vi è una tribuna sostenuta da quattro piccole colonne a forma di tabernacolo chiusa da tutti i lati al fine di creare una cappella votiva; il tempietto contiene la statua miracolosa della Pietà, oggetto di profondo culto popolare, riconducibile all´arte nordica del XV secolo. Sopra la tribuna è stata collocata una statua lignea del Cristo risorto del XVII secolo. Nel 1737 la chiesa si arricchisce anche di un prezioso organo di sette registri fabbricato da Feliciano Fedeli. Per moltissimo tempo il Santuario del Glorioso è stato, nelle Marche, secondo solo a quello di Loreto per numero di pellegrini.

    Santuario SS. Salvatore in Colpersito

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    Viale dei Cappuccini



    Appartiene dal 1576, con l'annesso convento, ai Cappuccini. Risalente all'XI sec., fu in origine sede di una comunità religiosa femminile.
    Colpersito è un luogo ricco di memorie francescane: qui san Francesco, venuto a San Severino nel 1212 e nel 1221, convertì il famoso trovatore Guglielmo da Lisciano "re dei versi" che divenne fra Pacifico. La fabbrica - all´epoca delle visite del santo di Assisi - era sede di una comunità religiosa femminile alla quale, secondo la tradizione, nella seconda visita lo stesso Francesco affidò una pecora la cui lana fu utilizzata dalle "povere recluse" per far dono al santo di una tonaca che gli inviarono alla Porziuncola. Solo dal 1576 la chiesa con l´annesso convento diventa proprietà dei Cappuccini. Il tempio ha subito nel tempo varie trasformazioni: le forme attuali si devono agli interventi realizzati tra il XVII e il XVIII secolo anche se l´ultimo restauro mostra l´originaria struttura in pietra locale con qualche elemento architettonico caratteristico. Nell´interno di particolare pregio è l´ornato ligneo dell´altare maggiore, realizzato nel 1750 dagli intagliatori Francesco e Gaetano Gentili, e il ciborio in noce con intarsi d´avorio.

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    Teatro Feronia


    Venuta meno l’antica Sala degli spettacoli con la demolizione del Palazzo Consolare a San Severino al Monte, la città rimane priva di una sala pubblica. Dopo un lungo dibattito in Consiglio comunale, iniziato nel 1732, alcuni rappresentanti dell’aristocrazia locale costituiscono un Condominio teatrale e raccolgono i fondi necessari per la costruzione di un teatro nella Piazza Maggiore, affidandone nel 1740 la progettazione all’architetto fanese Domenico Bianconi, che disegna una struttura in legno con pianta “a campana”, un ampio palcoscenico, tre ordini di palchi e un loggione con balconata a colonnine. Il Teatro de’ Condomini è ultimato ed inaugurato nel 1747. Nel 1823 la struttura in legno viene giudicata antiquata e insicura a causa del pericolo di incendi, per cui la Congregazione teatrale affida la progettazione di un nuovo teatro in muratura al giovane architetto locale Ireneo Aleandri (1795 - 1885), che ha studiato presso l’Accademia di San Luca a Roma sotto la guida dell’architetto neoclassico Raffaello Stern e che nello stesso anno ha ricevuto l’incarico per la progettazione dello Sferisterio di Macerata. Aleandri, pur limitato dall’esiguità dello spazio a disposizione, progetta una struttura elegante e slanciata verso l’alto, con pianta a ferro di cavallo, tre ordini di palchi e loggione, usando per la prima volta nel soffitto le “unghiature” bibianesche che costituiranno in seguito una cifra distintiva del suo stile architettonico teatrale. La decorazione pittorica è affidata a Filippo Bibiena e Raffaele Fogliardi, mentre i cartoni delle pittura, che ornano la volta e il bozzetto del sipario, sono opera del pittore sanseverinate Filippo Bigioli (1798 - 1878) e vengono realizzati da Raffaele Fogliardi.

    Il sipario, considerato un importante esempio di arte neoclassica, raffigura un tema suggerito da un gruppo di intellettuali del tempo che, ipotizzando la presenza nell’antica Settempeda di un tempio dedicato alla dea Feronia, suggeriscono di rappresentare la sacerdotessa Camurena Cellerina che compie il rito di liberazione di uno schiavo dinanzi al tempio della dea, mentre sulla sinistra si compie il sacrificio di un bue e sulla destra viene raffigurato il Fiume Potenza secondo l’iconografia adottata per il Sacro Tevere. In questo climax neoclassico, sono gli anni in cui Vincenzo Monti scrive il suo poemetto Feroniade, si decide di conferire anche al teatro il nome della dea. Terminati lavori, il teatro viene solennemente inaugurato nel 1828 con l’esecuzione di due opere di Gioacchino Rossini, Mosè in Egitto e Matilde di Shabran. Chiuso nel 1961, perché pericolante, il teatro viene riaperto dopo un lungo e complesso lavoro di restauro, nel 1985 con un concerto lirico - strumentale con l’Orchestra di Vienna e la partecipazione del soprano Katia Ricciarelli. Capienza di 442 posti.


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    PALIO DEI CASTELLI

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    Dal 1972 la ricorrenza del patrono San Severino si solennizza rievocando aspetti del passato. Il periodo scelto è il 400 quando la città era retta dalla Signoria degli Smeducci.
    Descrizione
    Dal 1972 la ricorrenza del patrono San Severino si solennizza rievocando aspetti del passato. Il periodo scelto è il 400 quando la città era retta dalla Signoria degli Smeducci.
    Nella settimana di festeggiamenti si rievoca il corteggio storico, che accompagna fino al vecchio castello il reliquario, realizzato da Onofrio Smeducci per custodire i resti del patrono, per l'offerta dei ceri.
    L'offerta ricorda l'oblazione dei nobili sudditi degli Smeducci, che donavano ai custodi del Santuario una scultura in cera raffigurante il castello, che veniva portata fin sul Monte Nero su di un piedistallo.
    Dopo una prima fase triennale, ora il Palio dei Castelli si disputa annualmente, con la nuova gara della Corsa delle Torri. Durante la settimana festeggiamenti con altre gare: tiro con l'arco, tiro alla fune, gioco della mela.

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    Cenni storici
    Nel 1972 si è dato inizio alla festa del Patrono S. Severino in modo solenne rievocando avvenimenti del passato; il periodo scelto è il 1400 quando la città era retta dalla Signoria degli Smeducci. Nella settimana di festeggiamenti si rievoca il Corteo Storico con l’offerta di ceri, che porta fino al Castello il busto d’argento raffigurante il Patrono S. Severino. Onofrio Smeducci fece costruire questo busto d’argento per contenere il Capo del Santo Protettore della Città. Quest’opera purtroppo non esiste più, perchè il busto venne fuso nel 1659 per ricavare l’argento necessario all’esecuzione di un nuovo busto, opera dell’orafo romano Sante Lotti. L’offerta dei ceri ricorda l’oblazione dei signori, sudditi degli Smeducci, che donavano ai custodi del Santuario sul Monte Nero una scultura in cera raffigurante una parte del loro castello, che posta su un piedistallo, veniva portata dal borgo al Monte Nero in spalla. A loro volta i custodi del Santuario fondevano queste opere d’arte per farne dei ceri da ardere tutto l’anno dinanzi all’urna del Santo.

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    Inizialmente il Palio dei Castelli si disputava ogni tre anni: erano i balestrieri di Gubbio e di San Sepolcro a gareggiare per i Castelli di San Severino. Dal 1984 si è incominciato a gareggiare tutti gli anni. Nel 1987 si è dato inizio ad una nuova disfida denominata “CORSA DELLE TORRI”. Il percorso da fare era quasi tutto in salita, si partiva da Piazza del Popolo per poi giungere al Piazzale Smeducci sito al Castello sotto la torre civica, passando per Madonna dei Lumi. Nel 1987 vinse il Castello di Parolito, che arrivò primo anche nel 1988, ma per alcune scorrettezze la vittoria fu assegnata al secondo classificato, il Castello di Sant’Elena. Dal 1990 il percorso è stato definitivamente cambiato. Si è scelto di far svolgere la corsa attorno alla piattaforma della nostra stupenda Piazza del Popolo e con soddisfazione si è visto che essa era più spettacolare e più seguita dal pubblico. In quell’anno la vittoria è stata del Castello di Serralta, nel 1991 è andata al quartiere cittadino del Rione di Contro, nel 1992 al Castello di Sant’Elena, nel 1993 al Castello di Serralta, nel 1994 alla Villa di Cesolo, nel 1995 al Rione Settempeda, nel 1996 e nel 1997 al Rione di Contro, nel 1998 al Rione Settempeda, nel 1999 al Rione di Contro, nel 2000 al Rione Settempeda, nel 2001 al Rione di Contro. Sempre nel 1990 si è costituita l’ASSOCIAZIONE PALIO DEI CASTELLI che tuttora gestisce la Corsa delle Torri e il Palio.

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    Il Palio

    I festeggiamenti ruotano intorno all'8 giugno, data nella quale il comune di San Severino Marche festeggia il patrono. Assumendo quindi come punto di riferimento questa data, le serate sono organizzate in modo diverso ogni anno. Esiste tuttavia un ordine generale che di rado viene modificato e che prevede come inizio le serate medioevali.

    Le serate medioevali

    In queste serate si intrattengono i visitatori con bancarelle, figuranti, falconieri, spettacoli e cibi dell'epoca, in un contesto suggestivo poiché organizzato negli spazi del Castello al monte di San Severino. Le serate sono di solito tre e disposte nel fine settimana antecedente l'8 giugno.

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    Il Palio dei bambini

    Segue alle serate medioevali il Palio dei bambini, un altro appuntamento abbastanza recente che ha come obbiettivo il coinvolgimento dei più piccoli nella manifestazione. In questa giornata vengono effettuati i giochi validi per la conquista del palio: tiro alla fune, corsa con i sacchi, gioco della pallina, corsa con i trampoli e corsa delle torri. Questa data si svolge interamente in Piazza del Popolo.

    La cena a corte

    La cena a corte è un appuntamento annuale organizzato sempre prima dell'8 giugno. L'antico chiostro del castello al Monte fa da scenografia alla serata: il quadro è completato da figuranti e camerieri in costume con tanto di gran cerimoniere. Il tavolo centrale è riservato ad Onofrio Smeducci, signore delle terre settempedane, ed alla sua corte. Il menù della cena è ricercato nei documenti d'epoca, poiché i cibi sono fedeli al periodo quattrocentesco.


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    La Disfida dei Castelli

    La Disfida è una serata del palio che vede impegnate le formazioni dei Rioni e dei Castelli settempedani. Vi si svolgono le eliminatorie di diversi giochi, quindi in realtà le date sono due: una antecedente l'8 giugno e l'altra alcuni giorni più tardi (generalmente due, ma si devono per forza assecondare le esigenze del calendario). I giochi che si svolgono in queste serate sono: il tiro alla fune, il gioco della mela affogata, la corsa con i sacchi e la corsa con i trampoli (quest'ultimo introdotto nel 2010 per sostituire il gioco della brocca).

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    Il corteo storico

    Nel giorno della festa del patrono San Severino, cioè l'8 giugno, dalle ore 7.00, ora nella quale i tamburini e le chiarine del palio danno la sveglia alla città, iniziano i preparativi per il lungo corteo che sfilerà la sera lungo le principali vie del paese. Nel frattempo alle 11.30 viene tradizionalmente fatta la messa solenne al castello, la quale nel 2010 si è svolta nella chiesa del Duomo vecchio per la prima volta dopo circa venti anni di chiusura per lavori. Alle 21.00 inizia la partenza del lungo serpentone che, dallo stadio comunale, intraprende il tragitto per Piazza del Popolo. Nel 2010 si è arrivato a superare i 1300 figuranti, divisi in membri dell'Associazione Palio, i figuranti appartenenti ai Rioni ed ai Castelli, le delegazioni provenienti dalle altre associazioni gemellate e semplici cittadini che hanno chiesto di vestirsi per l'occasione.


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    Serata Conclusiva e assegnazione del Palio

    Il Palio viene assegnato sempre nell'ultima serata della manifestazione. In essa vengono effettuate tutte le finali rimanenti dei giochi, fatta eccezione per la Corsa delle Torri che viene interamente svolta in questa serata. Al termine della serata, in base ai piazzamenti che i Rioni e i Castelli hanno ottenuto nei vari giochi, i giudici calcoleranno il totale dei punti ottenuti ciascuno. Il Rione o Castello che presenterà il punteggio più alto sarà proclamato vincitore e avrà diritto all'arazzo raffigurante il Palio. Il Palio andrà custodito nella parrocchia del vincitore e dovrà essere esposto nelle successive edizioni della manifestazione. Nota importante della serata, al termine delle premiazioni, come ormai è tradizione, l'attenzione si concentrerà sullo spettacolo pirotecnico su base musicale, il quale di fatto terminerà i festeggiamenti.

    I gruppi storici


    Dal 1990, l'Associazione Palio è dotata di alcuni gruppi storici che negli anni sono cresciuti ed aumentati di numero.

    I tamburini sono il gruppo più antico dell'associazione fondato nel 1990 e caratterizzato dalla presenza della chiarina, strumento appartenente alla famiglia degli ottoni. Nel gruppo sono presenti tamburi rullanti, tamburi medi e tamburi muti. Negli anni la formazione non è mai stata modificata con l'aggiunta di nuovi strumenti; i colori dei vestiti storici si rifanno a quelli della città: il rosso è affiancato agli scacchi bianco-neri.

    Rioni e Castelli

    Esistono molti quartieri della città che si sono organizzati per partecipare al Palio. Essi sono caratterizzati per denominazione e colori. Purtroppo non tutti partecipano al Palio, infatti esistono formazioni che accettano di sfilare in corteo ma non riescono ad avere un numero sufficiente di atleti per partecipare ai giochi.

    I Rioni sono: Rione Settempeda, Rione di Contro, Rione di Taccoli, Granali e Rione San Lorenzo.
    I Castelli sono: Castello di San Severino, Castello di Rocchetta, Castello di Serralta, Castello di Sant'Elena, Castello di Pitino, Villa di Cesolo, Castello di Colleluce e Castello di Parolito.


    Grotte di S. Eustachio



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    Lungo la statale 361, a circa 2 chilometri da San Severino, una piccola gola, detta di S. Eustachio o Valle dei Grilli, nasconde alcune opere umane, testimoni di antiche attività religiose ed economiche sviluppate nei secoli passati lungo il Potenza. In questo punto la valle si restringe e il fiume riceve un piccolo affluente, in realtà un torrente stagionale, che incide il fondo della gola. La zona presenta una curiosità interessante: nel mese di Aprile i lati della statale sono costeggiati da alberi con fiori violacei (siliquastri o alberi di Giuda), che qui hanno trovato un perfetto habitat. Ciò che colpisce subito chi frequenta questa via, è però la presenza di varie cave, oggi abbandonate, che la vegetazione sta cercando di nascondere. Qui la natura si sta riappropriando affannosamente di ciò che l’uomo, per giusta causa, ma a volte in modo irrazionale, ha sottratto ad essa. Ricca di alcune varietà di calcare, questa parte della valle del Potenza era già sfruttata nei secoli passati all’interno della gola, dove rimangono a testimoniare l’attività estrattiva alcune grotte, vicino alle quali esistono i ruderi di un’antica abazia.
    Attraversata la ferrovia e poi un piccolo ponte sul Potenza, si arriva presso alcune case coloniche, oltre le quali la strada col fondo di breccia prosegue, inoltrandosi nella boscaglia. Dopo pochi minuti si arriva ad una radura, dove si può parcheggiare comodamente. La strada è percorribile con l’auto fino alle grotte, ma, scegliendo di camminare, si arriva a destinazione in circa venti minuti senza sforzo. Un ampio cartello indica le peculiarità della valle (tra le quali un raro anfibio), studiata e tutelata da diversi enti ambientalistici della provincia. Purtroppo non è facile poter osservare tutte le caratteristiche elencate, a meno di dedicarvi tempo e pazienza oppure tornare più volte, per esempio quando il torrente non è in secca, come in questo periodo.

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    Arrivati a destinazione, si notano subito le grotte il cui aspetto denota la loro origine artificiale, scavate per estrarre blocchi di calcare massiccio, utilizzato per costruzioni e probabilmente anche per statue. Le pareti sono lisce, verticali, le volte sono piatte: sembrano quasi stanze, ricavate con scalpelli e sforzi oggi inimmaginabili. Un’attenta osservazione permette di scoprire sulle pareti i segni lasciati dai lavori di estrazione. Stalattiti lunghe qualche centimetro pendono dalla volta, lasciano gocciolare l’acqua di percolazione nella roccia e testimoniano che l’abbandono delle lavorazioni risale a qualche secolo fa.

    Vicinissima alla grotta principale c’è una chiesa, o meglio ciò che resta dell’antica chiesa dell’abazia, seminascosta dalla vegetazione invadente. Si può entrare e osservare ciò che resta dell’antico lavoro dei costruttori: l’abside, scavato nella roccia, la volta a crociera con tantissimi mattoni incastonati tra loro, un ampio rosone circolare e due lunghe finestre, sul lato ovest, per catturare la poca luce che la stretta gola mette a disposizione. La chiesa, incastonata nella parete rocciosa, è un tutt’uno con essa e sicuramente si armonizzava con il paesaggio al tempo in cui era presente la comunità di eremiti. Ora però sta lentamente agonizzando nell’abbraccio mortale della vegetazione: anche qui la natura tenta la rivincita sull’uomo.

    Numerosi documenti permettono di ricostruire la storia dell’abazia, la cui costruzione, per alcuni aspetti, richiama la cultura longobarda. Già segnalata nell’XI secolo e abitata da eremiti, deve il nome S. Eustachio in Domora (dimora)all’ospitalità che forniva temporaneamente ai lavoranti delle cave e ai viandanti che percorrevano la via S.Severino – Camerino attraverso i monti. Per un certo periodo ebbe il controllo amministrativo di altre chiese della zona, come la Pieve di S.Zenone e Madonna delle Macchie, situate pochi chilometri più ad ovest sulla statale, nell’attuale territorio comunale di Gagliole. Nel corso del 1300 l’abazia fu abbandonata, mentre l’attività estrattiva, iniziata forse in epoca romana, continuò fino alla prima metà del secolo XIX.
    Sul versante opposto alla chiesa, un’altra grotta ospita una costruzione enigmatica, sulla cui funzione circolano due ipotesi, entrambe supportate da qualche prova. Ci sono i resti di una piccola torre circolare, con le pareti munite di numerosissime finestrelle: alcuni sostengono che era una piccionaia, altri, visto che le pareti sono un po’ annerite e la roccia presente è adatta allo scopo, preferiscono definirla una calcinaia, ovvero una fornace per cuocere pietre e produrre calce. Qualunque sia stata la sua reale funzione, questo rudere ha un particolare fascino, perché evoca quei paesaggi del sud degli Stati Uniti dove le popolazioni indigene costruivano le loro abitazioni nelle grandi caverne naturali. Insomma, qui pare di essere quasi in un “pueblo”.

    Questa grotta si raggiunge dopo aver attraversato il letto del torrente e percorso un breve sentiero nella macchia.
    Oltre queste grotte si sviluppa un sentiero disagevole, almeno all’inizio, che permette di esplorare tutta la gola, salire sui monti ed arrivare perfino a Camerino o a S. Severino.
    La visita, interessante per chi ama questo tipo di escursioni, lascia un po’ di amarezza: dispiace rilevare come antiche opere, magari non pregiate ma comunque testimoni importanti del passato, vengano purtroppo abbandonate. Un oculato controllo della natura per salvaguardare costruzioni che non sono ecomostri, ma che si inseriscono perfettamente nell’ambiente, sarebbe auspicabile. D’altra parte non si può recuperare tutto perché ci sono ovviamente delle priorità, comunque è triste rilevare ancora una volta che un altro piccolo pezzo di storia della nostra provincia va inesorabilmente scomparendo.

    di Luciano Burzacca


    fonti: wikipedia-comune di s.severino marche- web



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    chiesa di s. apollinare

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    palazzo Servanzi Confidati

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    piazza del popolo

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    panorama S. Severino marche

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